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Flaubert e lo scomparso
Due parole sul rapporto tra scrittura epistolare, opera e vita in Flaubert e Kafka
venerdì 9 gennaio 2004, di
[...] Mentre in Flaubert la scrittura epistolare rende esemplare la vita, quasi un vangelo dello scrittore, l’esistenza dell’autore del Castello e delle Lettere a Milena è tutta contenuta nei suoi testi, fuori dai quali non vi è che il nulla senza fondo del quotidiano o l’estasi istantanea e accecante dell’eterno: due esperienze che non divengono parola... [...]
Flaubert è, per tutta la cultura europea del primo Novecento, un nome magico. Il suo "destino esemplare" (1) è alla base del misticismo estetico, della figura "dell’uomo di lettere, come sacerdote, come asceta e quasi come martire" (2) che sarà il termine di paragone per generazioni di narratori. Quest’uomo che partendo da Madame Bovary ha portato all’apice e superato il realismo borghese, e finendo con Bouvard et Pécuchet ha posto le basi per l’enciclopedismo delle grandi epopee di Musil e Joyce, è diventato, al di là delle sue opere, sempre con le parole di Borges, "il primo Adamo di una specie nuova" (3).
Tra i discendenti di questo Adamo vi è sicuramente anche Kafka (4).
Qui però non ci interessa indagare la pur fondamentale influenza dell’opera e della figura di Flaubert sugli scritti di Kafka, quanto notare che, come per Flaubert, anche la vita di Kafka è divenuta un mito. La sua esistenza anonima da impiegato e da scapolo, che pubblica poco o niente e muore ordinando al suo più caro amico di bruciare tutti i suoi scritti, è indelebile nella memoria letteraria del ’900. I destini di questi due scrittori sono accomunati dal fatto che la loro vita, per differenti motivi, è importante quanto la loro opera.
La trasformazione dell’uomo in mitico eroe della letteratura è in Flaubert affidata interamente all’epistolario, da alcuni per questo considerato la sua opera capitale. Il teorico dell’art impersonnel (5) ha lasciato la sua autobiografia - ma soprattutto la sua estetica - nella corrispondenza, in particolare in quella a Louise Colet.
Le lettere a questa donna sono, come quelle di Kafka a Felice e poi a Milena, scritte per mantenere la distanza, per cristallizzare il sentimento amoroso e sottrarlo dalla contingenza temporale, per salvaguardare la sfera del quotidiano, consacrato alla scrittura. Certo ancora di più di quelle di Kafka, queste lettere oltre al ritratto dell’Altro, ridotto da interlocutore a rappresentazione (6) , sono anche un vero e proprio portrait of the artist.
Pure per Kafka, anche se non con la disinvoltura con cui lo è per Flaubert, l’amore rischia di essere solo:
Una specie di segnalibro che pongo più avanti tra le pagine sognando di arrivarci in ogni modo (7)
Già alla terza lettera a Louise, Flaubert confessa, dopo aver descritto il suo desiderio selvaggio e inesauribile per lei, la sua incapacità affettiva:
…ma non so se questo è amare. Forse è il contrario. Forse è il cuore in me ad essere impotente. La detestabile mania dell’analisi mi consuma. Dubito d’ogni cosa, anche del mio dubbio. Mi hai creduto giovane e sono vecchio […] Non sono fatto per la gioia. Non si deve prendere questa frase in un senso terra terra, ma coglierla nella sua intensità metafisica - Mi dico sempre che farò la tua infelicità, che senza di me la tua vita non sarebbe stata rovinata, che verrà il giorno in cui ci separeremo (e me ne indigno in anticipo), e allora la nausea della vita mi risale alle labbra e provo un inaudito disgusto verso me stesso, e una tenerezza tutta cristiana per te. (8)
Pochi mesi e molte lettere dopo scrive:
Cos’è dunque che mi ha fatto tanto vecchio appena uscito dalla culla, e tanto disgustato della felicità prima ancora di averla gustata ? Tutto ciò che appartiene alla vita mi ripugna, tutto ciò mi ci attrae e mi ci immerge mi spaventa. Non vorrei mai essere nato né morire. Ho in me, al mio fondo, un’ottusità radicale, intima, acre e incessante che mi impedisce di prendere gusto per qualsiasi cosa e che mi riempie l’anima fino a farla crepare. Riemerge ovunque, come le carogne gonfie dei cani che ritornano a galla malgrado le pietre che gli si hanno attaccato al collo per annegarli. Quando all’inizio ti ho gridato, con un innocenza che hai apprezzato poco, che ti sbagliavi, che mi dovevi dimenticare, che ti rivolgevi a un fantasma e non a un uomo, non mi hai voluto credere. (9)
Sono passi che potrebbero sicuramente appartenere alle lettere di Kafka a Felice o a Milena. Kafka stesso aveva sperimentato, leggendo la Correspondance, questo shock di riconoscimento (10) .
Diversissimo rispetto a Kafka è, però, il ruolo che ha la corrispondenza di Flaubert nell’insieme della sua opera. Infatti questo è per lui il luogo dove far sentire la propria voce, per sua scelta totalmente assente dai suoi romanzi, in maniera diretta. L’epistolario con Louise Colet, tanto ricco di dissertazioni estetiche (11) , trasforma Flaubert nel simbolo dell’opera, dello "scrittore" per antonomasia e della disciplina di cui ha bisogno. Non vi è quasi contatto tra questo e i suoi testi narrativi (12) . Essi non sono che il risultato esemplare dell’esistenza sacrificata, contenuta e agra narrata dalle lettere. Non così è per Kafka. Egli, più che narrare i propri problemi artistici o le sue teorie sulla prosa, trabocca di riflessioni e dubbi sull’esistenza, testimonia l’incapacità di vivere e amare, la caparbia e orgogliosa esclusione dal mondo, che accomuna tutti i suoi personaggi.
Il disilluso e coltissimo Flaubert che scrive a Louise Colet ha poco a che spartire con l’ingenua sognatrice Emma Bovary o con i due "imbecilli" Bouvard e Pécuchet.
Nelle ultime lettere a Milena e in molte ad altri destinatari, Kafka si firma "K.": esse sembrano davvero scritte dai protagonisti dei suoi ultimi due romanzi. Non vi è solo il rapporto genetico tra le lettere e le opere narrative, che individua Canetti tra le Lettere a Felice e Il processo (13), vi è semplicemente un differente modo (sempre letterario) di affrontare le stesse questioni, le stesse storie.
Flaubert e Kafka si mostrano e rimangono come due fantasmi, numi tutelari della letteratura. Mentre, però, Flaubert è simbolo dell’opera e dello scrivere in generale, modello dell’artista e della sua abnegazione per l’arte, Kafka è simbolo della propria opera. L’aggettivo "kafkiano" copre l’ambito dell’opera e della vita di Kafka, perché egli ha scritto la propria vita e vissuto i propri scritti con un’incredibile radicalità e coerenza.
Ha scritto Proust che tutte le opere di Flaubert potrebbero chiamarsi L’Educazione sentimentale, forse tutte quelle di Kafka, almeno tutto l’epistolario, potrebbero portare come sottotitolo Lo scomparso (titolo del primo romanzo di Kafka anche noto col nome di America). Sono messaggi, soprattutto quelli delle lettere a Milena, di un uomo che sta scomparendo. Sparendo dalla vita per apparire nella parola, fondersi nella frase. Non, però, come Flaubert che rinuncia a vivere "esteriormente" per farsi puro stile, Dio onnipresente e invisibile dei suoi romanzi. Kafka, fin da principio, "sparisce" di fronte a tutto ciò che non rientra nell’ambito della letteratura. Egli, come dimostra la cartina geografica del mondo di cui parla nella Lettera al padre, in cui traccia i confini del fragile paese in cui può esistere, vive "letterariamente", cioè solo nel territorio d’esilio della letteratura: chiunque vi abita è uno "scomparso". Questa Amerika, in cui ebbe la straordinaria intuizione di ambientare il suo primo romanzo, terra degli stranieri, patria per nessuno, ma anche nuovo Eden, è il paese da cui scrive le sue lettere agli altri che abitano ai piedi del castello e, senza neanche saperlo, sono a casa.
Kafka ha scritto a Milena:
Questo si deve spiegare attraverso la mia teoria, secondo la quale gli scrittori viventi hanno con i propri libri un legame vivo. Combattono con la loro semplice presenza per o contro i loro libri. La vita indipendente di un libro comincia solo alla morte dell’autore o meglio dopo un certo tempo dalla morte, perché questi uomini appassionati continuano a combattere per un po’ anche dopo morti per il loro libro. (14)
Possiamo dire che egli non ha ancora smesso di lottare per (e contro) i suoi libri, e, per come li ha scritti, probabilmente non smetterà mai restando l’inafferrabile cuore al centro di essi.
Mentre in Flaubert la scrittura epistolare rende esemplare la vita, quasi un vangelo dello scrittore, l’esistenza dell’autore del Castello e delle Lettere a Milena è tutta contenuta nei suoi testi, fuori dai quali non vi è che il nulla senza fondo del quotidiano o l’estasi istantanea e accecante dell’eterno: due esperienze che non divengono parola. In mezzo c’è una scrittura che coincide, come mai nessuna prima, con un’identità e con un nome, Franz Kafka.
Note
1- J. L. Borges, Flaubert e il suo destino esemplare in Discussione. Rizzoli 1973. pp. 107-111.
2- J.L. Borges, op. cit. p. 107.
3- ibidem.
4- Max Brod ricorda di quando Kafka gli lesse ad alta voce La tentazione di sant’Antonio e L’Educazione sentimentale: "Era come se Flaubert stesso fosse tornato in vita….". Citato in N. Fusini, Due. La passione del legame in Kafka, Feltrinelli 1988 p.77 e ss.
5- Cfr. la lettera a Louise Colet del 18 Aprile 1854 in G. Flaubert, Correspondance. Folio classique 1998 p. 294.
6- Esemplare in questo senso come Flaubert abbia incontrato Louise Colet nello studio di Pradier, mentre lei posava per lo scultore.
7 G. Flaubert, op. cit p. 210. "une espèce de signet que je place d’avance entre les pages, et je rêve d’y être arrivé de toutes façons. "
8- G. Flaubert, Correspondance I, Bibliothéque de la Pléiade, Gallimard 1973 p. 282. "...je ne sais pas si c’est aimer. C’est peut-être le contraire. Peut-être est-ce le coeur en moi qui est impuissant. La déplorable manie de l’analyse m’épuise. Je doute de tout, et même de mon doute. Tu m’as cru jeune et je suis vieux. [...] Je ne suis pas fait pour jouir. Il ne faut pas prendre cette phrase dans un sens terre à terre mais en saisir l’intensité métaphysique. -Je me dis toujours que je vais faire ton malheur, que sans moi ta vie n’aurait pas été troublée, qu’un jour viendra où nous nous séparerons (et je m’en indigne d’avance), alors la nausée de la vie me remonte sur les lèvres et j’ai un dégoût de moi même inouï, et une tendresse toute chrétienne pour toi.".
9- G. Flaubert op. cit. 1973 p. 420 s. "Qu’est-ce donc qui m’a fait si vieux au sortir du berceau, et si dégoûtè du bonheur avant même d’y avoir bu? Tout ce qui est de la vie me répugne, tout ce qui m’entraîne et m’y replonge m’épouvante. Je ne voudrais être jamais né ou mourir. J’ai en moi, au fond de moi, un enbêtement radical, intime, âcre et incessant qui m’empêche de rien goûter et qui me remplit l’âme à la faire crever. Il reparaît à propos de tout, comme les charognes boursouflées des chiens qui reviennent à fleur d’eau malgré les pierres qu’on leur a attachées au cou pour les noyer. Quand je t’ai crié dès l’abord, avec une naïveté que tu as peu appréciée, que tu te trompais, qu’il fallait m’oublier, que c’etait à une fantôme et non à un homme que tu t’adressais, tu n’as pas voulu me croire.".
10- Cfr. Diari 06/06/1912.
11- Soprattutto quando riprende nel 1851, dopo il viaggio in oriente di Flaubert e diviene fedele resoconto della lenta e faticosa creazione di Madame Bovary.
12- Se non per le poche lettere a Elisa Schlésinger, sublimata nella signora Arnoux dell’Education sentimentale.
13- E’ la tesi di base del suo bellissimo libro su Kafka L’altro processo Guanda 1990.
14- Lettere a Milena gennaio-febbraio 1923. "Es ist das durch meine Teorie zu erklären, daß lebende Schriftsteller mit ihren Büchern einen lebendigen Zusammenhang haben. Sie kämpfen durch ihr bloßes Dasein für oder gegen sie. Das wirkliche selbstständige Leben des Buches beginnt erst nach dem Tod des Mannes oder richtiger eine Zeitlang nach dem Tode, denn diese eifrigen Männer kämpfen noch ein Weilchen über ihren Tod hinaus für ihr Buch.".
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