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Tiziano Scarpa - Il blog di Lazzaro(ne)

Dodici punti interrogativi pensando a Kamikaze di Occidente (Rizzoli 2003)

giovedì 1 aprile 2004, di Lorenzo Flabbi

Quello di Scarpa è un libro fatto di osservazioni. Il resto è inessenziale. Chi voglia dare un peso alla cornice narrativa credo che rischi la cantonata, la sovrainterpretazione indebita (ad esempio qui). Non ci sono secondi significati, sfumature, metafore. Il libro di Scarpa coincide con la sua prima lettura. Osservazioni. A volte acute, a volte più stanche, a volte persino in ritardo. Spesso divertenti.
Nient’altro.

(Domanda 1: Può uno scrittore occuparsi dei suoi libri in maniera collaterale, come un disturbo del mestiere, una sgradevole conseguenza dell’essere considerato - socialmente - scrittore, e in più darlo a vedere? Certo che può, a patto di dare poi per buono il fatto di essere considerato invece uno scrittore che ha scelto di restare seduto al tavolo dei ragazzi nelle feste natalizie, di lasciare che gli altri facciano sul serio. Ora, si dà il caso che noi si creda che Scarpa valga la pena di prenderlo sul serio. Perché, in maniera esclamativa e non argomentata, è "bravo!". Non solo: è "bravo!" e fertile, intellettualmente vivace e attivissimo. Un operatore culturale autorevole e scanzonato. Ma.)

Kamikaze d’Occidente è fatto di pensieri e mezze idee, quei pensieri e quelle mezze idee che vengono in mente a spiriti anche brillanti, sufficientemente sensibili da attraversare turbati le proprie sofferenze e la mancanza di immanenza del senso riuscendo però sempre, vuoi per effettiva forza, vuoi per saper vivere, vuoi per grande attaccamento alle soddisfazioni che la vita dà loro, a cascare in piedi, a ritirarsi a qualche metro dal baratro che sprofonda, dall’abiezione. Bravo, Scarpa Tiziano! L’esatto opposto dello scrittore, a priorità e ordini invertiti. (D2): Un’ottima persona (va bene) fa un bravo artista? Neanche per sogno. All’artista si richiede appunto di non fermarsi prima della soglia, ma di attraversarla e trovarne altre, di caricarsi della fatica della scrittura, scioglierla nell’acido del pensiero vorticoso e riplasmarla in parola. (D3) O no? Anche no, è vero.
Ma almeno di vagliare al setaccio le proprie intuizioni, di farle crescere, portarle alle loro estreme conseguenze e riconsiderarle da lì, dal confine del senso, ricalibrarle sul parametro del paradosso per vagliarne la tenuta, questo sì, questo è necessario.
Il libro di Scarpa straborda di idee graziose, di ideuzze gentili, di piccole trovate, e anche, inevitabilmente, di pensieri moribondi, di feti non illuminati, di frasi al quarto mese. Come capita a quasi

tutti di avere, in giornate di vento buono. Scarpa fa il sociologo (!), e dice la sua su tutto, da Genova all’undici settembre, dalla Mostra del cinema di Venezia al parossismo dell’orgasmo, dalla società delle immagini alla cinesizzazione prossima ventura dell’Occidente. E se talvolta è spassoso, più spesso ha la profondità e l’acume di un articolista di tabloid. Vale a dire: abbastanza profondità e abbastanza acume per farsi un’idea del problema in metropolitana.
Faccenda non da poco. Tale da fare di questo un libro assolutamente inessenziale, non tanto nel panorama della letteratura italiana (o addirittura mondiale, come scompostamente minacciato da più parti - parti, sia detto, molto vicine tra loro), quanto nella stessa bibliografia scarpiana che nell’aprile 2034 sarà senza dubbio cospicua e solida.
Ma attenzione: (D4) si può recensire un libro negativamente perché non è un capolavoro, perché presto sarà dimenticato? No, non si può. (D5) È lecito tenere gli orizzonti di aspettativa prelettura come perno delle considerazioni postlettura? Mica tanto.
Abbassiamo quindi la soglia del rigore. Miriamo ad altezza d’uomo.
Nel libro non c’è riscatto. La mimesi di colui che dice ’io’ con la meschinità dell’esistente (fatto meschino dallo sguardo di ccd’i’) è totale. Non interpreto: è tutto tematizzato: il protagonista ha come incarico quello di trovare una quantità infinitesimale di speranza nella sua vita e in quello dell’occidente tutto, e confessa la sua sconfitta. Mani nel fango, quindi. Operazione meritoria, ma pericolosa perché, si sa, non basta dire ’il mondo è finito’ per scrivere un’Apocalisse, come non basta dire ’ti amo’ per scrivere una poesia d’amore. È il rischio di imitare i cretini: o si naviga nell’eccellenza, nella profondità formale, o gli altri non si accorgono che si stava scherzando. Eccellenza e profondità formale che implicano quella rielaborazione del cosmo che trasforma un grido d’odio nel Voyage au bout de la nuit invece che in un insulto offensivo e volgare. Riforgiare il mondo nelle fucine della scrittura, ad alta temperatura. Truismi.

Considerazione: in Kamikaze d’Occidente si imita lo scrittore di cui sopra, l’ ’anche brillante’ (o anche il ’brillantissimo’), ma da lì non si esce, le mani tendono a fondersi nello stesso fango che vorrebbero plasmare a forma di critica, a forma di opera (a forma di forma). Le aporie si sprecano. Rimangono le singole pagine, a tratti anche davvero divertenti. Va tè, vien da dire a volte, va tè che trovata. E altre volte, va tè che trovata progressista. E talvolta anche, va tè, va tè che trovata reazionaria, o anche, va tè che sciocchezza moralista. Perché di moralismo il libro è intriso, filtrata com’è la rappresentazione del mondo attraverso gli occhi e le scelte del personaggio che dice io, senza effettive vie di fuga. Moralista non tanto in quanto colui che sostiene una cosa e ne fa un’altra, ma inteso come quel tale che pretende che la propria apertura mentale sia quella oggettivamente consentita dalla morale. I.e.: il trans che sfotte la sessualità noiosa e prevedibile della coppietta etero, l’eccentrico che guarda con saccente superiorità l’ortodosso, il pazzo che, invece che rifiutare la dicotomia pazzi/sani, da quella dicotomia resta intrappolato e contesta ai sani la loro mancanza di pazzia. Ed è tutta pigrizia, questa cosa. Tutto un fermarsi prima.
Scarpa è pigrissimo. Struttura il romanzo a giornate, racconta di un plausibile sé che arrotonda le proprie entrate da scrittore prostituendosi con alcune ammiratrici: l’idea è curiosa, ma il piano metaforico o è piatto (cos’è costretto a fare lo scrittore nella società delle immagini) o è confuso (vendo il mio corpo ma non l’anima mia). La cornice narrativa è costituita dalla richiesta - anche piuttosto pretestuosa - fatta al protagonista del romanzo (Tiziano Scarpa) da parte di un misterioso committente italiano convertitosi al verbo della potenza cinese, di un resoconto della sua propria vita destinato al mercato orientale per illustrare la decadenza della nostra società e la necessarietà di una sua impellente eliminazione. Ne esce un blog cartaceo in presa diretta su un ordinario squallore che, con queste premesse, pretende autogiustificarsi narrativamente. Ora: se Scarpa tenesse un blog in rete sarebbe di sicuro tra i miei favorites. Se quel blog fosse Kamikaze d’occidente me lo sarei letto con alterno godimento. (D6-D8) Ma dov’è il setaccio che impedisce di tenere per buona ognuna della trenta pagine scritte in settimana? Dov’è quella minima forma di pudore che porta a controllare se qualcuno non abbia già detto esattamente le stesse cose, magari meglio? Dove sta scritto che essere bravi! esima dell’essere scrupolosi?
(E anche, maliziosamente: (D9) non è che a forza di sparare contro l’università e i suoi convenzionalismi si butta via il bambino con l’acqua sporca?)
C’è tanto di provocazione, certo, e non penso soltanto alla tematica e alla pratica della pornografia: nel mirino posso immaginare ci siano (si è costretti ad approssimare perché si intuiscono gli strali, ma il bersaglio rimane spesso alonato e indistinto) anche le scadenze pressanti del mondo editoriale tiranno e miope e la pervicace incomprensione da parte dello sclerotizzato sussiego accademico. Ma sarà forse che Scarpa intende rivolgersi a un pubblico la cui tipologia ora mi sfugge, sarà che l’ipertrofia sessuale e l’apocalissi del mondo Occidentale ((D10) ma qual è, questo mondo occidentale?) sono stati i temi del duemilatre e bisognava validare il tagliando, tant’è che , per qualcuno di questi motivi, Kamikaze d’Occidente sembra scritto con la mano sinistra, parlando al telefono e arrivando in ritardo persino su quel Occhi sulla graticola

che ci ha fatto scoprire uno scrittore (Tiziano Scarpa/Scarpa Tiziano) nel ’96. Qui si vuol dire Op Op Op, alzati e cammina, Lazzaro! Sicuro anche che Scarpa non ne potrà più di gente che gli dice Op op op! e ha anche ragione: ma che modo di fare è? Op op op moi même! Quindi niente Op op.
Piuttosto: entro nel microtesto, faccio un esempio e mi chiarisco le idee.

Scarpa difende la libertà dello scrittore

Scarpa tutela piccato la sua libertà di scrittore di fare letture pubbliche senza dover per forza rendere conto al savonarola di turno che così lo rimprovera: Ahi venduto!, hai accettato l’invito da parte del comune di Sulzena la cui giunta ha approvato il provvedimento ZoT (provvedimento ZoT: antidemocratico, antiecologista, antipatico).
Considerazione: (D11) ma ne val la pena? Ossia: è un vessillo che merita di essere brandito? Quando Scarpa si difende, dai pixel della rivista online Nazione Indiana, dalle accuse di uno dei molti repressi che girano in rete, dice bene e dice giusto; non sarà originale, ma se si sente di voler affermare l’ovvio (ossia che il privato di un personaggio pubblico è perlustrato con intensità proporzionale alla sua fama) avrà i suoi validi motivi. Dice Scarpa: un commercialista di provincia (magari persino tu che mi accusi, più o meno coperto dall’anonimato e dalla distanza/irreperibilità che si crea in rete) guadagna dieci volte più di me compiendo chissà quali nefandezze e non deve rendere conto a nessuno, io faccio tutto alla luce del sole, mi espongo, e sono pure onesto. Ottimo, ha ragione da vendere, che vada a fare in tafanario il cavilloso rompiballe formato web (anche se suona un po’ come se Vieri si lamentasse del fatto che i giornali scandalistici non si preoccupano mai di quante amanti ha l’ortopedico che abita vicino a casa sua). La scaramuccia, però, c’è anche nel libro, e ciò è più avvilente. In quanto, tutto sommato, depotenziante. Considerazione: suonerà sicuramente pedante dire che:
qui non si tratta di voler tornare ai livelli delle polemiche tra Rinascita e Il Politecnico, tra Togliatti e Alicata da una parte a esporre la loro idea di rinnovamento culturale e Vittorini dall’altra che avvisa i suoi referenti politici (che sono al contempo i suoi editori) di non voler "suonare il piffero per la rivoluzione"
e quindi non lo diciamo. Ma rimane lecito pensare che sia poco, e - orrore! - banale. Resta lecito anche richiedere il tentativo di mascherare la propria idea di società come di semplice agglomerato di corporazioni con qualcosa di più convincente. Di non demoltiplicare i temi fino al loro annichilimento. Tutto ciò che uno scrittore dice e fa fuori dai suoi testi può contribuire a fare di lui una persona migliore o peggiore, un’anima salva o un tronfio primo della classe pieno di sé. Quella è la persona. Ma lo scrittore? Quello si vede dai libri. Che Scarpa guadagni pure i suoi soldi vendendo armi al mercato nero. Parleremo dell’uomo col dovuto disprezzo. (D12) Ma lui, lui che sa fare, perché non scrive libri che rimangano?

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