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The day after Troy

Troy, Usa 2004 di Wolfgang Petersen

domenica 23 maggio 2004, di Luigi Weber

The day after Troy, occorrerebbe proprio dire. Fresco di visione dopo la prima italiana, un ex classicista non pentito e cinefilo dilettante stende alcune considerazioni sparse sull’ultimo arrivato dei kolossal d’ispirazione letterario-mitico-bellica. Kolossal nato dalle mani di un altro tipo di ex - verso il quale l’ex classicista non prova alcuna solidarietà, al massimo un certo livore - ossia Wolfgang Petersen, che iniziò tanti anni fa nella madrepatria germanica a misurarsi con la guerra con un cinema duro e antiretorico (nella fattispecie, claustrofobico come in Das Boot, 1981, o anche gentile come nella parabola in panni fantascientifici Il mio nemico, tratto da un piccolo capolavoro della SF di Barry Longyear), ed è finito a girare action movies fracassoni e miliardari negli Usa, tipo Air Force One o La tempesta perfetta, senza nulla, ma davvero nulla, che ne ricordasse le origini di cineasta niente affatto disprezzabile.

Detto questo, sembra già detto tutto. E invece Troy merita qualche riflessione, non è produttivo liquidarlo per "l’ennesima americanata", come faceva parte del pubblico bolognese all’uscita dalla sala.
Dunque, cerchiamo prima di tutto di spiegare quali sono i personali motivi di disappunto, giacché, come si sarà capito, il parere sul film non è esattamente positivo. Anzi, il giudizio risulta indurito in quanto, con pochissimo sforzo, l’opera avrebbe potuto essere davvero buona. Solo che, nel mettere in cantiere un film con un budget di 320 milioni di dollari, pare che la produzione non avesse neanche dieci cents per pagare uno sceneggiatore non si dice intelligente o geniale, ma neanche scrupolosamente cartacarbonico. Peccato due volte, perché in realtà David Benioff, autore del romanzo e della sceneggiatura del bellissimo La 25ma ora, non sembrava certo, sulla carta, un cavallo bolso.
L’atteggiamento comune nell’approntare trasposizioni filmiche di grandi testi letterari sembra sempre più di una arrogante indifferenza. Emblematica rimane, ancora, la risposta che Demi Moore diede a chi, dopo l’uscita del terribile La lettera scarlatta che l’aveva vista nei panni di Hester Prynne sotto la scellerata direzione di Roland Joffe, contestava al film un finale - e in realtà un intero impianto - divergente dal romanzo di Hawthorne. La Moore liquidò la questione affermando "tanto La lettera scarlatta non lo legge più nessuno!". Ma non è l’ortodossia a essere in discussione, è questo che gli ottusi come Demi Moore non capiscono, è proprio l’efficacia del testo di partenza. Ammesso e non concesso che Omero non lo legga più nessuno, stravolgere il mito del ciclo troiano avrebbe un senso se fosse possibile migliorarlo. Se le esigenze cinematografiche imponessero cambiamenti finalizzati a una comprensione e a una resa maggiore, questi sarebbero i benvenuti, come si vede a teatro, dove gli allestimenti imbalsamati e filologici dell’Accademia del Dramma Antico (per non parlare di quello che combinano gli Stabili, anche con Shakespeare e Pirandello) sono solo lussuosi esercizi soporiferi, mentre ogni grande regista reinventa l’opera con cui dialoga. Nel caso di Troy, invece, la maggior parte dei cambiamenti sono solo arbitrari al limite del penalmente perseguibile. E chi volesse un rapido elenco, per misurare l’eventuale eccessiva severità di chi scrive, è subito accontentato:

A - Alterazioni ingiustificate:
Ci sono tre morti assolutamente scandalose nel film. La prima avviene quando Paride sfida Menelao a duello per risolvere la guerra tra i soli due contendenti alla mano di Elena. Nell’Iliade lo scontro dura tutto il giorno e si conclude cavallerescamente in perfetta parità. In Troy Paride è invece ridotto così a mal partito che Ettore interviene per proteggerlo e uccide Menelao, con una scelta tra l’altro totalmente incompatibile con la logica dell’onore degli eroi omerici. La morte di

Menelao sul campo è una bestemmia, niente di meno, e non necessaria. Nel racconto mitico, invece, quel che accade a me pare mirabile: dopo il tradimento, l’umiliazione, e i dieci anni di guerra, alla caduta della città il re di Sparta finalmente rimette le mani sulla moglie fedifraga, di cui per tutto quel tempo non aveva bramato nient’altro che la morte, e… non le torce un capello. Nessuno dei Greci le fa del male. Soggiogato ancora una volta dalla bellezza incommensurabile di Elena, lui come tutti, pur davanti alla catastrofe che quella donna ha causato, Menelao la riprende con sé. Non c’è effetto speciale che equivalga una simile numinosa dimostrazione di onnipotenza.
La seconda morte è quella di Aiace Telamonio, in battaglia per mano di Ettore. Altro duro colpo inferto all’originale, poiché Aiace in realtà si suicida per la vergogna, a guerra finita, dopo esser stato defraudato prima da Ulisse delle armi di Achille, e poi da Atena che lo acceca nella sua conseguente furia vendicativa, deviata contro un branco di porci piuttosto che contro le tende dell’offensore. Alla sua storia si deve una delle pagine più alte della letteratura occidentale di ogni tempo, quel silenzio che lo Pseudo-Longino cita proprio come esempio di sublime (1) . La compostezza dell’Aiace omerico che si rovescia in una disperazione umiliata di fronte al misconoscimento del suo valore, lascia il posto qui solo a un immenso bruto armato di mazza.
La terza uccisione insensata e grottesca è quella di Agamennone, al quale Benioff nega di tornarsene ad Argo in compagnia di Cassandra per trovare la morte in un bagno sanguinoso, preferendo farlo accoltellare alla gola da una Briseide incomprensibilmente promossa a semi-protagonista della pellicola. Non si pretendeva che il film si dilungasse sulla pazzia di Aiace, sul ricongiungimento tra Elena e Menelao, o sul nostos nefasto di Agamennone, il silenzio era infinitamente preferibile a certe assurdità.

B - Alterazioni giustificate da ragioni moralistiche:

Una sola, ma molto grave: per tacere la pratica dell’amore omosessuale che nell’etica aristocratica greca era considerata la più alta forma di rapporto tra due esseri umani, Patroclo viene trasformato nel giovane cugino di Achille. Così Achille appare mosso fin dalla prima scena da un affetto sollecito e protettivo nei confronti del giovane, che vuol proteggere dai rischi della battaglia, e per la cui morte si dispererà fino a tornare in guerra. In realtà, Patroclo è l’eromenos di Achille, ed è tutt’altro che un ragazzo inesperto. Quando nel film cade, per mano di Ettore, paga la magnanima irruenza di essersi rivestito di nascosto delle armi di Achille, e da avventato muore incrociando la spada con il campione troiano. Nel poema omerico la scena ha ben altra profondità: Achille gli ha concesso le sue armi e la guida dei Mirmidoni per contrastare l’assalto dei Troiani giunti fino alle navi, e lo anche avvertito di limitarsi a ricacciare i nemici, di non tentare l’assalto alle mura di Troia. Invece Patroclo, travolgendo i Troiani che lo scambiano per Achille e si danno a una fuga scomposta, dimentica l’avvertimento, la febbre di gloria e di conquista lo acceca e lo fa puntare verso la città. Qui però incontra Ettore, che non ha paura, o comunque sa di dover esser l’ultimo baluardo dei suoi, e nel combattimento seguente ne viene piegato.

C - Alterazioni giustificate da ragioni "spettacolari" ma incompatibili con la logica dell’opera e dei personaggi:

Tra i soldati Achei che nella notte escono dal cavallo di legno c’è anche Achille. A parte il fatto (magari trascurabile) che quando Troia cade Achille era già morto, il punto dolente qui è che la logica dell’inganno appartiene totalmente alla mente odissiaca e per niente alla visione della vita di Achille,

perfino dell’Achille di Troy. Achille è, più di tutti, l’uomo dell’aidòs, di un senso dell’onore su cui incombe perennemente il suo rovescio, la vergogna, l’eroe che non può accettare la paura e che affronta a viso aperto qualunque nemico. Se pure fosse stato ancora vivo, non avrebbe mai accettato di nascondersi nel cavallo.

D - Alterazioni giustificate da ragioni di "riscrittura" ma comunque non perseguite con coerenza:
Nel lavoro di Benioff-Petersen c’è una enorme ellissi rispetto all’Iliade e a tutto il ciclo troiano: sono stati espunti in maniera integrale gli dei. Non solo ne v’è mai epifania di loro - cosa che comporta un gran numero di aggiustamenti, giacché l’intervento degli dei nelle vicende umane è continuo nel poema (2) - ma più d’una volta si fanno considerazioni "empie" sulla loro assenza o sul loro non intervento. La scelta in sé potrebbe anche essere interessante, solo che poi, se si vuol esser laici, lo si deve essere fino in fondo. La prima volta che si fa menzione dell’invulnerabilità di Achille e delle sue origini semidivine, è un bambino dai grandi occhi ammirati e stupefatti a chiederlo al grande guerriero: "E’ vero che tu non puoi essere ferito?". E Achille risponde che se fosse vero non porterebbe lo scudo. Più tardi, messo di fronte alla forza dell’eroe di Ftia, Ettore dice "E’ quasi sovrumano", e quel quasi riassorbe l’evidente superiorità del nemico. C’è un unico incontro tra Achille e sua madre Teti, la Nereide, cui però vengono negati tutti gli attributi numinosi, con la soluzione di raffigurarla immersa per metà nell’acqua (2) , ma non per altro che per cercare conchiglie da riunire in una collana. Purtroppo però alla fine del film Paride uccide Achille colpendolo davvero nel tallone, e questo solo dettaglio, così proverbialmente noto da non poter essere taciuto o modificato, fa crollare la coerenza di tutto il resto. Se, insomma, Achille muore colpito al tallone significa che era davvero invulnerabile, e se davvero lo era lo era in quanto semidio, e dunque gli dei esistono, e perciò non si capisce dove siano absconditi lungo tre ore di film.

Le alterazioni in realtà sono molte e ingombranti, ma in vario modo afferiscono agli insiemi che abbiamo detto.
Resta il rammarico perché, al contrario, dal punto di vista dell’arredamento, in senso lato, questo è davvero un ottimo prodotto. Poca computer graphics e molto artigianato, tanti allestimenti scenografici imponenti, dall’accampamento degli Achei ricavato dalle navi insabbiate alle mura di Troia, eccellenti le caratterizzazioni delle armature, delle acconciature e dei monili, tendenti al gusto frigio e al decorativismo orientale quelle di parte troiana, più rudi e geometriche quelle greche, in omaggio - tutto reinventato ma persuasivo - a una minoicità ideale che per essere poco attestata archeologicamente permette certe libertà. Certo non mancano le cadute nell’ipercorrettismo volontaristico, come quando Menelao va a Micene a chiedere aiuto al fratello, e viene introdotto in una sala del trono dove campeggia sulla parete di fondo una immensa replica della Porta dei Leoni. Replica assai più prossima a uno stile Las

Vegas (l’idea stessa di replica in dimensioni accresciute fa molto technischen Reproduzierbarkeit) che a un autentico mégaron minoico. Imponente quanto il Signore degli Anelli, cui deve parecchio, fino a sfiorare il calco involontario quando Orlando Bloom si mette a scagliar frecce in stile Legolas-senza-parrucca, retorico quanto Salvate il soldato Ryan, di cui rifà con inaccettabile sfacciataggine la scena dello sbarco (l’attacco a Troia come un’altra Normandia? Ma vi prego!) (4) , Troy è una magnifica occasione mancata, e mancata in un modo che ancor m’offende. Con alcuni interpreti ben scelti, soprattutto Eric Bana che interpreta un Ettore triste e convincente, un Brad Pitt che come Achille è tutto energia estrinsecata, e mai fu più azzeccato dire di un attore che anche una faccia è composta di muscoli, un Orlando Bloom perfetto forse perfino troppo nella parte del principino raffinato, parolaio e senza nerbo, e una donna di bellezza davvero folgorante nella parte di Elena, Diane Kruger. Alcuni suoi primi piani valgono il biglietto.

Con uno sceneggiatore come Omero, comunque, sarebbe bastato davvero il minimo dello sforzo, e anche certi dialoghi sbruffoni non avremmo dovuto mandarli giù.
Ancora una volta, una confezione ammirevole per un prodotto privo d’anima. E con una tendenza preoccupante all’esaltazione dello spirito guerriero, al culto della personalità dei capi, alla retorica dell’eroismo e della bellezza di una morte in battaglia. Quando già Omero, poco meno di tremila anni fa, concludeva il poema che avrebbe fondato l’identità dell’Occidente non con il trionfo sanguinoso dei "suoi" potenti antenati, ma con i mesti funerali di uno sconfitto, che invano ha tentato di proteggere la sua patria dall’avidità di un imperialismo senza scrupoli, vanamente nascosto sotto una ipocrita giusta motivazione.


Note

1 - Nell’Odissea, durante la discesa all’Ade, Ulisse incontra, prima della vecchia madre, l’ombra di Aiace Telamonio, e chiede perdono al vecchio compagno d’armi per avergli sottratto solo in forza di dialettica quel che lui, in quanto più forte tra tutti i Greci, più di tutti insieme meritava e bramava. Ma Aiace non risponde, e silenzioso nel suo eterno rancore si allontana tra le ombre.
2 - Diciamone solo alcune, le più macroscopiche: Atena che ferma la mano di Achille nello scoppio della sua ira quando sta per uccidere Agamennone, l’armatura di Patroclo slacciata da Hermes per farlo colpire alla gola, ancora Atena che assume le fattezze di Deifobo per ingannare Ettore fuori dalle mura, Afrodite ferita da Diomede scatenato… A proposito, come si fa a cancellare il personaggio di Diomede???? E l’episodio del furto del palladio da parte di Ulisse e Diomede? E l’incontro di Diomede e Glauco? E la morte di Sarpedonte figlio di Zeus, dimostrazione che neanche il padre degli dei si può opporre al Fato?
3 - Alludendo così, ma alludendo solo, per l’appunto, alla dimensione marina che le appartiene.
4 - E finisce che l’anacronismo brutale di veder combattere i Mirmidoni come una proto-falange macedone o come una proto-proto testuggine romana, è la violenza meno difficile da sopportare. Ma, dopo aver visto i centurioni romani parlare latino scolastico con pronuncia medievale in The Passion, siamo ormai pronti a tutto.

Messaggi

  • Caro il mio ex-classicista,

    in linea generale sono abbastanza d’accordo con te su "Troy", ma non riesco a negarmi il piacere sottilmente perverso (e in fondo tu stesso lo ecciti in chi ha la pazienza di leggere la tua prolissa recensione) di venire a farti le pulci, visto lo spulciamento cui hai sottoposto il film. Come dire, chi la fa l’aspetti.

    La pulce che ti contesto è nella seguente affermazione: "Ci sono tre morti assolutamente scandalose nel film. La prima avviene quando Paride sfida Menelao a duello per risolvere la guerra tra i soli due contendenti alla mano di Elena. Nell’Iliade lo scontro dura tutto il giorno e si conclude cavallerescamente in perfetta parità".
    Purtroppo, la memoria ti ha giocato un brutto scherzo. Il duello tra Paride e Menelao, di cui parli, si svolge nel Libro Terzo, e volge davvero tutto a favore di Menelao. Tanto che il sire spartano, dopo aver trafitto con la lancia lo scudo di Paride senza però ferirlo, e avergli schiantato la spada sull’elmo, si avventa a mani nude sul più giovane rivale frastornato dal colpo, gli attorce il cimiero intorno al collo e lo trascina nella polvere strangolandolo verso il proprio schieramento. A questo punto interviene Afrodite, sempre grata a Paride per certe questioni di mele che ricorderai, prima slacciando l’elmo e liberando il suo protetto, poi trafugandolo alla pugna in una nube che immagino rosea e olezzante d’ambrosia (ma di cosa olezza poi l’ambrosia?).

    La modifica, anche in questo caso, deriva dalla scelta di ostracizzare radicalmente ogni presenza degli Olimpi. Tu su questo fatto sei abbastanza tollerante, a me pare una bestialità, ma sospendo il giudizio.
    Invece il duello che dura l’intera giornata e si conclude in parità è quello tra Ettore e Aiace Telamonio (in quale libro ora non ricordo), scelti come i più valorosi dell’uno e dell’altro schieramento, sorta di prefigurazione della tenzone tra Orazi e Curiazi.

    Non te la prendere, comunque, ogni pedante trova prima o poi un pedante sulla sua strada!

    • Ho l’impressione che il pedante qui sia uno solo, ovvero il (re)censore della recensione, che cerca di distruggere questo commento tentando di ammiccare al lettore con osservazioni che poco o nulla hanno a che fare col film. Commento che io invece ho trovato estremamente interessante, proprio per lo sguardo da ex-classicista con cui è scritto, e la cui validità non è affatto diminuita da eventuali sviste. Non sono una classicista, nè ex nè attuale, e mi sembra di poter dire che non è affatto richiesta tutta questa pazienza, anche a una persona non particolarmente addentro agli argomenti, per arrivare a leggerlo fino in fondo. Anzi, mi sembra assolutamente apprezzabile il fatto che il film non venga liquidato come "la solita americanata", ma che le critiche vengano argomentate in maniera seria e chiara. Tutto qui, tanto per essere più pedante dei pedanti.

    • Cara Elena, vorrei trovare un modo per essere pedante nei tuoi confronti così da essere più pedante dei pedanti dei pedanti, ma sono d’accordo con te. come fare? Ci sono! "Né" si scrive con l’accento acuto.
      Con Troy secondo me Weber è persino troppo generoso, ma tanto di cappello per la precisione e la chiarezza. Saluti, Maurizio

    • Pedante o non pedante il re(censore) della recensione ha perfettamente ragione. La sua critica non mi sembra assolutamente faziosa e tantomeno ammiccante!
      Come fai a dire, cara Elena che le sue affermazioni hanno poco o nulla a che vedere col film?
      Prima cosa la sua era una doverosa correzione della recensione e non aveva pretesa di essere una controrecensione del film.
      Seconda cosa questa correzione era tanto pertinente quanto la recensione da ex classicista non pentito (ma poco preparato) di Weber (tra l’altro Patroclo non era l’Eromenos di Achille bensi’ l’Erastes ... imprecisione di non poco conto sotto tutti gli aspetti).
      Detto questo la critica come dici tu e’ ben argomentata in maniera seria e chiara (anche se le incongruenze con il poema omerico sono talmente tante e talmente macroscopiche che una critica basata sulla fedelta’ al classico diventerebbe un massacro), ma proprio perche’ si tratta di una critica seria, essa ha il dovere di essere anche documentata e precisa.
      Chi legge il testo di Weber e non conosce Omero, la filosofia e la mitologia greca e’ portato a recepire passivamente il contenuto della recensione ed a dare per acquisiti i risultati degli scontri di Paride ed Ettore con i rispettivi antagonisti, mentre invece i risultati sono ben diversi come ha precisato il re(censore) di cui non ricordo il nome.
      Chi scrive ha una grossa responsabilita’, verba volant sed scripta manent, specie quando si pubblica una critica.

    • Scusi Maurizio, a rischio di mandare in vacca e di stroppiare con il troppo, ma la tentazione è troppo forte e io aggiungo una dimensione alla pedanteria: dopo il punto ci va la maiuscola. Quindi: "[...] con te. Come fare? [...]"

      Quis custodiet ipsos custodies?

  • Gentile Daniele Kent,

    vedo solo ora il tuo intervento e vorrei dirti che apprezzo la tua severità nei miei confronti. Che Patroclo fosse l’erastés e non l’eròmenos di Achille, ossia - chioso per i non classicisti - l’amante attivo e non quello passivo, davvero non lo sapevo; diciamo che avevo sempre dato per scontata la ripartizione di ruoli in base al diverso carattere dei due eroi.

    Hai ragione sul fatto che bisogna essere precisi, e a mia parzialissima, tenuissima difesa (ma se vuoi è una aggravante, invece) posso solo dire che ho scritto di getto la recensione a "Troy" la mattina dopo aver visto il film, per giunta a memoria, senza compiere tutte le necessarie verifiche. Così la fiducia nella mia memoria mi ha teso qualche trappola. Diciamo che ho imparato la lezione.

    Nel contempo, credo che l’insieme dei rilievi che ho fatto al film non siano inficiati dalle imprecisioni. La nozione sì era imprecisa, nell’un caso e nell’altro, ma il senso che ne estraevo era giusto. Trasformare il rapporto Achille-Patroclo è una mossa omofoba. Far uccidere Menelao sul campo è una sciocchezza.

  • Sono completamente daccordo con l’articolo, anche se sono arrivato a leggere metà dell’Omeriade, per fortuna si ha ancora cuirosità di leggere, sono anche un fun di Enea che viene quasi umiliato da Paride, che incosciamente chiede al grande eroe omerico come si chiamasse. La bella Briseide trasformata in cugina di Ettore. Volevo dire solo questo, di poche parole perchè deluso, perchè attendo sempre queste trasposizioni cinematografiche, che purtroppo stravolgono l’immaginazione, ma fanno venire voglia di leggere

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