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Gore Vidal - Creazione

Traduzione di Stefano Tummolini, Fazi Editore, Roma, 2005

giovedì 21 luglio 2005, di Giulio Braccini

S’intitola Creazione, si svolge nella culla della civiltà, all’alba della Storia, e narra di un viaggio verso l’Est e ad Est dell’Est - il più importante romanzo storico di Gore Vidal, finalmente tradotto in italiano.
Il protagonista è un nipotino di Zarathustra (quello vero) nonché figlio di una strega tracia, il suo nome è Ciro Spitama ed è amico d’infanzia di Serse (futuro imperatore di Persia) nonché viandante della cosiddetta età assiale - quella manciata di decenni in cui il mondo ricevette la saggezza di Socrate, Buddha e Confucio. Ciro, che è tanto personaggio quanto spudorata funzione narrativa, è destinato infatti a viaggiare verso l’India e il Catai del V secolo avanti Cristo incontrando, nelle vesti di ambasciatore persiano e di portatore delle dottrine zoroastriane, tutti i pezzi grossi dell’epoca, da Pericle in Grecia al primo provvisorio conquistatore della piana del Gange Ajatashatru, fino al Maestro Li e al fantastico Duca di Sheng in Cina.
E c’è di più: il narratore è un Ciro ormai vecchio e cieco che detta le proprie memorie al nipote Democrito (quel - Democrito) in risposta ed aperta polemica alle "storie" (in senso negativo) di Erodoto; chi si aspetta perciò un racconto delle guerre persiane resterà dovutamente deluso, perché ad essere messe in scena sono qua piuttosto le "guerre greche", un conflitto non molto significativo alla periferia del più grande e civilizzato impero dell’epoca, quello di Dario prima e Serse e Artaserse poi. Se volete sapere come si praticava la prostituzione sacra nella storica (e non mitica) Babilonia, se volete qualche soffiata sui segreti di potere dei ginecei persiani, se non vi dispiacerebbe sentirvi dire quant’era spocchioso Siddharta Gotama e quanto simpatico e scalognato K’ung - questo è il libro per voi.
Descrizioni etnografiche, strade e paesaggi, qualità dei cibi e delle concubine di ogni parte del mondo d’allora, discussioni filosofiche, religiose, economiche, militari e realpolitiche: ce n’è per tutti i gusti, sempre con l’ironia implicita nell’avere un tanto stravagante punto di vista, e sempre con il tormento, che però non si blocca nell’inazione, della ricerca della verità. Da dove veniamo? Dai barbari arii che calarono dalle steppe del Nord in Grecia, Persia e India (e Iberia e Italia), portando con sé il dio cavallo, ma disposti a farsi civilizzare dalle "chiome nere" che sottomisero nei vari paesi d’adozione; lo scontro fra la classe dirigente indeuropea e la popolazione indigena è un leitmotiv in tutto il romanzo, la cui prosa di servizio è stilisticamente inutile (come pare si convenga al genere storico), ma il cui centrato obbiettivo polemico siamo noi, i discendenti dell’unico popolo così spudorato da aver preso come proprio eroe Odisseo il bugiardo.

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