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09 - Ofelie

Chimere

giovedì 19 giugno 2003, di Donata Feroldi

Pensosa e ironica come questa di Notre Dame o terribile come quella di Virgilio, ecco una passeggiata tra chimere di ogni tempo, guidati dalla sguardomobilista Donata Feroldi.

Chimera

"Le pays des chimeres est en ce monde le seul digne d’être habité, et tel est le néant des choses humaines, que hors l’être existant par lui-même, il n’y a rien de beau que ce qui n’est pas."
Leopardi, Zibaldone, 6...7 Mag.1829.

Variazioni su un’immagine

Lucretio, & Homero dicono, che la Chimera hà il capo di Leone, il ventre di capra, & la coda di drago, & che getta fiamme per la bocca , come racconta anco Virgilio, che la finge nella prima entrata dell’inferno.
(Cesare Ripa, Iconologia, Roma 1593-1603)

La storia di Chimera: intrecci mitici.

Questo maraviglioso animale, figlio di Tifone e di Echidna, ha il corpo composto di tre parti diverse - per la parte anteriore un leone, per quella centrale una capra e per quella posteriore un serpente -, e vomita fuoco dalle fauci. Secondo una tradizione (Iliade XVI, 328), era stata allevata dal re di Licia, Amisodaro, che aveva nelle sue greggi una giovane capra con questo nome.
Ma Chimera danneggiava con le sue rovinose incursioni le campagne della Licia e della Caria e un altro re di Licia, Iobate o Giobate, ne ordinò l’uccisione e, su istigazione del genero Preto, ne affidò l’incarico a Bellerofonte, nella segreta speranza che fosse l’eroe a rimanere ucciso.

Un mostro figlio di mostri: genealogia di Chimera.

La madre Echidna, propriamente vipera o serpente, per metà essere umano e per metà serpente, era figlia di Crisaor o, secondo altri, di Forco e di Ceto. Generò, insieme a Tifone, la maggior parte dei mostri della mitologia classica: oltre a Chimera, il cane Ortro dalle molte teste, il drago dalle cento teste che faceva la guardia ai pomi delle Esperidi, il drago della Colchide, la Sfinge, Cerbero (da cui l’appellativo "cane echidneo"), Scilla, la Gorgone, l’idra di Lerna, l’aquila che divorava Prometeo, il leone nemeo. Fu uccisa nel sonno da Argo.
[Fonti: Esiodo, Teogonia ( ); Apollodoro (2.1.2); Ovidio, Metamorfosi (4.501)]
Il padre, Tifone o Tifeo, è un mostro primordiale, descritto ora come bufera devastante, ora come drago o gigante che vomita fuoco. Nella versione omerica è un essere nascosto nella terra, nella regione degli Arimi, che viene debellato da Zeus con i suoi lampi (Iliade, 2.783). Esiodo invece distingue tra Tifone e Tifeo, presentandoli come due creature diverse (Teogonia, 821 ss. e 306 ss.). Tifone, ritenuto figlio di Tifeo, è rappresentato come un terribile uragano. Tifeo, invece, è presentato come figlio minore del Tartaro e di Gea, o anche della sola dea Era che l’aveva partorito senza il concorso di alcun essere maschile, indignata perché Zeus aveva messo al mondo Atena senza di lei. In questa seconda versione Tifeo sarebbe il frutto dell’ira femminile.
Solitamente è presentato come un mostro alato, con cento teste, occhi terrificanti, che emette voci spaventose dalle sue cento bocche. La parte inferiore del suo corpo si avvolge in due gigantesche spirali serpentiformi. Entrato in contesa con Zeus per il dominio del mondo, fu quasi sul punto di riportare la vittoria, perché riuscì ad avvolgere il dio nelle sue spire e ad amputargli i nervi delle mani e dei piedi, relegandolo poi in una grotta della Cilicia.

La Chimera dell’Iliade nella traduzione del Monti

"Dall’Eolide Sisifo fu nato

Glauco; da Glauco il buon Bellerofonte,

cui largiro gli Dei somma beltade,

e quel dolce valor che i cuori acquista.

Ma Preto macchinò la sua ruina,

e potente signor d’Argo che Giove

sottomessa gli avea, d’Argo l’espulse

per cagione d’Antèa sposa al tiranno.

Furiosa costei ne desiava

segretamente l’amoroso amplesso;

ma non valse a crollar del saggio e casto

Bellerofonte la virtù. Sdegnosa

del magnanimo niego l’impudica

volse l’ingegno alla calunnia, e disse

al marito così: Bellerofonte

meco in amor tentò meschiarsi a forza:

muori dunque, o l’uccidi. Arse di sdegno

Preto a questo parlar, ma non l’uccise,

di sacro orror compreso. In quella vece

spedillo in Licia apportator di chiuse

funeste cifre al re suocero, ond’egli

perir lo fésse. Dagli Dei scortato

partì Bellerofonte, al Xanto giunse,

al re de’ Licii appresentossi, e lieta

n’bbe accoglienza ed ospital banchetto.

Nove giorni fumò su l’are amiche

di nove tauri il sangue. E quando apparve

della decima aurora il roseo lume

interrogollo il sire, e a lui la tèssera

del genero chiedea. Viste le crude

note di Preto, comandògli in prima

di dar morte all’indomita Chimera.

Era il mostro d’origine divina

lion la testa, il petto capra, e drago

la coda; e dalla bocca orrende vampe

vomitava di foco. E nondimeno

col favor degli Dei l’eroe la spense.

Pugnò poscia co’ Sòlimi, e fu questa,

per lo stesso suo dir, la più feroce

di sue pugne. Domò per terza impresa

le Amazzoni virili. Al suo ritorno

il re gli tese un altro inganno, e scelti

della Licia i più forti, in fosco agguato

li collocò; ma non redinne un solo:

tutti gli uccise l’innocente. Allora

chiaro veggendo che d’un qualche iddio

illustre seme egli era, a sé lo tenne,

e diegli a sposa la sua figlia, e mezza

la regal potestade."

Iliade, Libro VI (145)

"Da due germani i due germani uccisi

così n’andaro a Dite, ambo valenti

di Sarpedon compagni, ambo famosi

lanciatori, figliuoi d’Amisodaro

che la Chimera, insuperabil mostro

di molte genti esizio, un dì nudriva."

Iliade, Libro XVI (367)

La Chimera di Ovidio

"quoque Chimerae iugo mediis in partibus ignem,

pectus et orae leae, cauda serpentis habebat"

"e il monte della Chimera, il mostro coi fianchi infuocati,

il petto e la testa di leonessa, la coda di serpe"

Ovidio, Metamorfosi, IX, 647- 48.

La Chimera di Notre-Dame

È alata, è affacciata a una balaustra, si regge il mento con le mani - in una posa tipica dell’iconografia della malinconia - e sembra guardare dall’alto la città. Ma la lingua che le fa capolino tra i denti accenna al riso, allo sberleffo. Ha naso di leone, corna di capra e busto perfettamente umano.

Le Chimere letterarie

"Tra queste solitudini s’imbosca

non so s’io deggia dir femina o fera.

Alcun non è che l’esser suo conosca

o ne sappia ritrar l’effigie vera;

e pur ciascun col suo veleno attosca,

si ritrova pertutto ed è chimera,

un fantasma sofistico ed astratto,

un animal difforme e contrafatto."

G.B. Marino, Adone, Canto 12 (792)

"Ma poi trovò, nello scendere il monte,

una strana chimera a una fonte.

Uccise questa, che fu maraviglia,

ché mai nessun più non v’era arrivato

ch’affisar sol questo mostro le ciglia

col guardo suo non l’avessi ammazzato."

Pulci, Morgante, Cantare 25 (996)

[È Rinaldo a uccidere il mostro.]

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