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11 - Che il gallo canti pure. Ritratti

Ferruccio Benzoni a Cesenatico, un poeta

"La provincia può ancora essere una frontiera dove farsi pionieri di idee e contributi autentici e originali."

lunedì 18 settembre 2006, di Francesco Magnani

Passata la ferrovia, è la terza casa sul lato destro del porto canale. "Si affitta. Solo nei mesi estivi". Immersa nell’antico borgo dei pescatori, tra ristoranti e bar alla moda questa casetta non è solo una delle tante occasioni nel mercato immobiliare di Cesenatico. Il turista non sa che trent’anni prima quella porta è stata varcata da Sereni, Raboni, Cerami, Gatto, Fortini, nomi illustri della poesia italiana.
Nella casa sul porto, al 12 di via Giordano Bruno, è vissuto per quasi vent’anni Ferruccio Benzoni. Per tutti gli anni Settanta è stato il ritrovo di un cenacolo eretico, rapito dal demone della poesia. Insieme a Benzoni, Stefano Simoncelli e Walter Valeri. Si facevano chiamare "i fratellini", fuggivano i clamori della città balneare, attraversavano l’Italia per incontrare i poeti e in quel decennio hanno dato alle stampe una rivista corsara, ’Sul porto’. Grazie a quell’esperienza Benzoni si è affermato come poeta ed è riuscito a sconfiggere la malattia che continuerà a perseguitarlo per tutta la vita: la solitudine.

Fino alle medie ha solo un amico con cui condividere i giochi, quel Mauro Pasolini, suo vicino di casa e di banco, che lo accompagnerà fino alla consacrazione poetica. "La prima volta che ci parlammo, mi accorsi di quanto avesse bisogno di un contatto umano. Si avvicinava al mio volto fino a sfiorarmi il naso": così lo ricorda Luciano Magnani, suo compagno al liceo classico di Cesena. La sua preparazione stupisce tutti: è più ferrato in letteratura degli stessi insegnanti e quando un giorno gli viene chiesto di leggere un tema davanti a tutta la classe, si alza in piedi e lo recita fingendo di leggere il quaderno intonso.
Sono gli anni in cui il giovane Benzoni esce dal guscio delle letture e dei primi tentativi di versi. A sedici anni si iscrive alla Fgci e frequenta la casa del popolo di Cesenatico: è pronto per la stagione dell’agitazione studentesca.
Ma la tragedia lo aspetta al varco. Il 25 luglio del 1967 perde la madre Giovanna.
A cuore stretto mi stornavo dal padre e già lei moriva,
mia madre, esile filo di vita sfiorente. Inscheletrita,
arresi e grigi i capelli senza tintura, le dita
agitava ai saluti: oltre la porta ne piangevo, nel sole
.
La solitudine di Benzoni ha una data d’inizio precisa.
Ferruccio ricade nell’isolamento: nessuno con cui condividere la sua passione, finché conosce Piero Pieri, poeta “scapigliato” di pochi anni più grande. È Pieri il primo a suggerirgli l’idea di fondare una nuova rivista di poesia. Il progetto naufragherà e con esso l’amicizia tra i due, sconvolta da screzi amorosi. Ma il seme resisterà alla tempesta della collera.
Morta Giovanna, il padre decide di trasferirsi con il figlio nella casa della sorella, sul porto canale. Ma zia Pina oltre che da madre dovrà fare al giovane poeta anche da padre, morto nel 1970. Trasferitosi a Bologna, Benzoni si dedica più alle intemperanze della vita bohème e ai sogni del rivoluzionario che ai corsi universitari. Nella casa di via Regnoli, dove vive insieme con Pasolini, si lega a Simoncelli e a Valeri, i futuri "fratellini".
Il loro progetto poetico deve tornare alla provincia: Benzoni non riesce a starne lontano. Organizzano serate di lettura e trovano i finanziamenti per la loro prima publicazione: ’Fatti di poesia’ un ciclostile firmato “la Comune”, nome ispirato alla recenti frequentazioni artistiche e politiche con Dario Fo. Usciti dal Pci, passano nelle fila del "manifesto" ma sconteranno ben presto il prezzo politico del loro sentimentalismo.
La sera di Natale del 1972 partecipano a Cervia a una serata di Potere Operaio contro la guerra in Vietnam. I "fratellini" salgono sul palco e recitano Signorina Felicita di Guido Gozzano. Fischiati e cacciati. "Fu la fine della nostra militanza - ricorda Pasolini - ci chiudemmo in noi stessi e ci dedicammo alla poesia soltanto".

Nove amici sono seduti attorno a un tavolo di un ristorante sul molo di Cesenatico. In questa notte di primavera del 1973 hanno deciso di tirare tardi a discutere, ma uno di loro, Carlo, non alza gli occhi da fogli, salviette e pezzi di carta. Scrive come un forsennato.
Così è nato il primo numero di "Sul porto", "numero unico volutamente alla macchia": dal verbale dei sogni di giovani letterati. Il gruppo ha scelto la provincia adriatica come "frontiera dove farsi pionieri di idee e contributi autentici e originali". E proprio da quella frontiera strapperanno il primo successo. Ridanno la parola a un vecchio scrittore che vive a Cesenatico, Dante Arfelli, caduto nel silenzio dopo aver scritto nel 1948 I superflui, quasi un milione di copie in America. ‘Sul porto’ attira da subito le attenzioni e le simpatie di Franco Fortini e Pier Paolo Pasolini.
"Ferruccio - racconta Simoncelli - tirò fuori una vecchia Simca, con la quale abbiamo attraversato tutta l’Italia per incontrare i poeti. Il primo fu Alfonso Gatto, poi andammo a trovare Pasolini nella sua casa all’Eur, poi Giudici, Cerami, Raboni". Non cercavano i poeti adulti soltanto per sottoporre loro scritti e poesie: volevano entrare nella loro vita, mangiare e bere con loro, coinvolgerli nel turbine del loro giovanile ardore per le lettere. “Li sconvolgevano - racconta Alessandro Casagrande, un loro compagno di strada - e questa fu la loro fortuna”.
‘Sul Porto’ doveva essere un numero unico, e invece per un decennio uscirà con una regolarità quasi annuale arricchendosi di contributi sempre più autorevoli. A sorreggerne le colonne sono gli ormai inseparabili Benzoni e Simoncelli.
"Vivevamo sempre assieme - rievoca quegli anni Simoncelli - ogni mattina ci incontravamo per il caffè, leggevamo i giornali e pranzavamo insieme. Ci separavamo nel pomeriggio per scrivere e ci ritrovavamo la sera per confrontare i nostri versi, bere e parlare di ogni cosa. Fino a notte fonda".
Sul finire degli anni Settanta i due iniziano a dedicarsi al cinema. Con il regista cesenate Luciano Manuzzi i due scrivono la sceneggiatura di ‘Fuori stagione’, un thriller ambientato in una località balneare dopo l’esodo autunnale dei turisti. Nel 1982 vincerà due David di Donatello.
Ma Benzoni ha proprio in questi anni la conferma che i versi sono la sua esclusiva vocazione. Nel 1979 conosce infatti Vittorio Sereni, che sarà per lui come un padre, e non soltanto poetico. La frequentazione tra i due si fa subito assidua, tra Luino, la Vaucluse e Cesenatico. Oltre alla poesia i due hanno in comune la passione per il calcio e lo schivo Sereni non rifiuterà nel 1981 di assistere a una partita amatoriale in un campetto di Cesenatico e declamare a fine gara le doti atletiche dei giocatori.
La morte improvvisa di Sereni, nel 1983, avrà per Benzoni un effetto deflagrante. Il gruppo raccolto da dieci anni attorno a ’Sul Porto’ si dissolve; tra Benzoni e Simoncelli la rottura è definitiva. Il poeta cede alla bottiglia.
Solo un evento illumina il buio del 1984. Ferruccio conosce Ilse Maier, la donna che lo accompagnerà sulla strada della redenzione.

Ma per arrivarci Benzoni deve ancora attraversare l’inferno. È schiavo dell’alcool e della solitudine che si è autoimposto: la poesia diventa la psicoterapia del suo dolore. Passa nottate solitarie nei bar, dove scrive Fedi Nuziali, e quando è ora di rincasare nella vecchia villa dei genitori, dove si è ritrasferito nel 1986, spesso preferisce dormire in una camera d’albergo. "Per lui la casa non esisteva", ricorda Ilse.
Nel 1991 la sua compagna trasloca da lui per assistere la sua convalenza dopo un coma epatico. La presenza della donna amata conferisce alle mura quel sapore di nido domestico che invano il poeta aveva cercato per oltre vent’anni.
Qui sono tornato a abitare
cassée fracassata la spalla
altri dormitori disertando.
Notti ho vegliato origliando
lupi in uno stellato orrendo.
E uno c’era (il più famelico)
la facessi finita - supplicava - leccandomi il braccio
salmodiando uno spartito
di filastrocche strozzate.

Ma il lupi possono concedere una tregua. Il ritorno alla salute è accolto da un convegno che la città dedica al suo poeta. Benzoni ha smesso di bere, ha trovato un nuovo equilibrio. Da piccolo borghese, avrebbe detto anni prima.
Nel 1995 sposa Ilse Maier e dà alle stampe Numi di un lessico figliale. L’inverno seguente la vena poetica per la prima volta prevale sulla sua notoria severità. Compone di getto Sguardo dalla finestra d’inverno. "Non mi fece leggere nessuna poesia prima di averlo finito - racconta la signora Benzoni - e quando me le recitò lo trovai entusiasta: lo considerava la sua opera definitiva. Ci rimasi male perché ebbi il presagio che fosse una sorta di testamento".
Ilse non si sbagliava. Nella primavera del ’97 le condizioni di salute di Benzoni precipitano. Tre giorni prima di morire, il 16 giugno, l’amico Giovanni Raboni aveva telefonato a Ilse perché rassicurasse Ferruccio: un editore milanese avrebbe pubblicato il suo ultimo lavoro.
Ma il pianto che nasce irrefrenabile
senza un perché - il tuo
che non ha inizio né fine,
ti affila e tu non gli appartieni,
sola che nulla può raggiungerti,
nessuno come te vive se piange.

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