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Spielberg - Minority Report

Può Steven Spielberg citare Eliot che cita Dante Alighieri?

giovedì 26 giugno 2003

La trama è da un romanzo di Philip Dick che ha lo stesso titolo del film, pubblicato per le edizioni dell’eroico Fanucci (Rapporto di minoranza, tradotto da Paolo Prezzavento) . Il libro, con tutto il rispetto per Dick, non è stato ancora letto da chi scrive, dunque è solo al film, come conviene, che si farà riferimento.

Nella Washington del 2054 grazie a una inattesa modificazione genetica alcuni sfigatissimi Tyresia (i Precogs) hanno la sventura di saper vedere del futuro soltanto le cose più orribili: le morti violente (morti per acqua? Primo di due quesiti eliotiani da The Waste Land). In un programma di prevenzione criminale che ha luogo nella sola Washington (o in tutto il Columbia District? Primo interrogativo sulla tenuta della vicenda: fino a dove arrivano le facoltà preveggenti dei Precogs? Fossero di Casalecchio di Reno, si fermerebbero all’altezza del santuario di San Luca?), ipertecnologici poliziotti che sanno già come va a finire intervengono subito prima che un delitto venga commesso e fanno sistematicamente saltare il piano criminale (che sia premeditato o passionale poco importa, i nostri arrivano sempre in tempo: zero assassinati negli ultimi anni in tutto il distretto). Gli assassini potenziali (ma di una potenza indubitabilmente messa in atto se non fosse per l’intervento dei Precogs: i Precogs funzionano!), che siano malefici arrivisti o supercornuti, vengono sbattuti nel carcere più terrificante che ci sia dato immaginare, se non fosse che esistono ancora le carceri in Marocco: un’anestesia totale per quanto riguarda il cervello, una prigionia assoluta in una capsula per ciò che riguarda il corpo.

Il film è straordinario per moltissime cose che gli appassionati di SF non hanno mancato di apprezzare. Probabilmente è vero che è una reinvenzione del genere fantascientifico così come A.I., il precedente di Spielberg ne era semplicemente un buon sunto. Sicuramente ci sono scene di un fascino assoluto, invenzioni creative che fanno venire voglia di raccontare storie di immagini in movimento (quella cosa che si chiama cinema) così come a leggere i Diari minimi di Eco vien voglia di divertirsi con il mondo attorno o con il Finnegans Wake di Joyce vien voglia di fare esperimenti con la lingua. Su tutte, la fuga per autostrade verticali e le pubblicità nei grandi magazzini, personalizzate grazie alla scansione della retina (Bentornato dal Giappone, Signor Yamakoto, dice una voce al sorpreso e pur integerrimo Tom Cruise in fuga, una volta che, per rocamboleschi motivi, si è dovuto cambiare gli occhi per non essere riconosciuto dal Grande Fratello - povero Orwell, trionfo di Echelon - sempre pronto a dire a chiunque dove tu sia). E poi c’è la sempre magnetica manualità di Tom Cruise (questa volta alle prese con schermi trasparenti del tipo che ritroviamo anche in Matrix Reload) e il lato ludico di Spielberg che si sfoga in certe riprese di precisissima meccanica futuristica, dove si resta ipnotizzati a guardare gli ingranaggi che si muovono esatti e pertinenti (per non far riferimento ai Tempi moderni di Chaplin citerò la Sinfonia meccanica di Pierre Boulez del 1955: voilà). Però come scampare ai tanti interrogativi che pur con tutti i buoni sforzi di sospensione dell’incredulità colgono lo spettatore?

Tra i tanti, ci si chiede una cosa, nel più candido pensiero post-foucaultiano: un passo indietro: c’è un contesto politico: è quello di un referendum che, dopo sei anni di sperimentazione regionale, renda operativo a livello nazionale il programma di prevenzione al crimine. Le polemiche non mancano, rappresentate drammaticamente dall’antagonista del buon Tom, un agente governativo quasi-ex-seminarista irlandese cattolico che ha fatto le sue letture di teologia e vede in questi super-sub-umani precognitivi una reificazione dei paganissimi oracoli delle civiltà classiche. Tutti (più che altro l’irlandese, ma dietro di lui si intuisce una parte dell’opinione pubblica) si chiedono se abbia senso punire qualcuno per qualcosa che non ha ancora fatto. Eppure il programma Precogs funziona, funziona maledettamente bene. Ecco allora la nostra questione post-foucoultiana, senza raccontarvi come va a finire (andatelo a vedere il film, che ne vale la pena): perché pensare giocoforza a punire qualcuno per un atto criminoso che sta per compiere e non pensare invece di sfruttare il miracolo dei cari Precogs per impedire il delitto non compiuto lasciando libero il quasi delittuoso? Entrando completamente nel gioco narrativo come si parlasse di attualità, qualunque libertario non riesce a guardare il film senza porsi questo interrogativo. Che Dick conoscesse o meno le opere di Foucault o Beccaria, questo ci è ignoto. Che non le conosca l’ottimo ed ecumenico Spielberg dispiace di più.

Un’ultima illazione: davanti allo spettacolo dei carcerati incapsulati, o, come direbbe Montale, davanti alla ghiacciata moltitudine di morti, il bel Tom se ne esce in un’esclamazione che fa pensare a buone letture: gli ibernati sono tanti, tantissimi, più di quanti il solitario poliziotto non avesse mai immaginato. Ossia, ed ecco il secondo ed ultimo quesito eliotiano: so many, I had not thought death had undone so many (non precisamente, certo, va da sé). Il verso della Terra desolata che parlando dei morti viventi sul London Bridge fa riferimento alle anime dannate di Dante: "e dietro le venia sì lunga tratta / di gente, ch’i’ non averei creduto / che morte tanta n’avesse disfatta".

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