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David Lynch - The air is on fire

Visita alla mostra monografica organizzata a Parigi dalla Fondazione Cartier

sabato 12 maggio 2007, di Raffaello Scolamacchia

Una membrana trasparente fa da schermo alle cupe visioni di David K. Lynch. È una scatola dalle pareti di vetro, piombata in boulevard Raspail come un oggetto alieno nel centro di Parigi. Invece l’ha disegnata la mano leggera di Jean Nouvel, e nessuno spazio sarebbe stato migliore per ospitare The air is on fire.
È come guardare nella testa del regista americano o, meglio, nel suo stomaco. Subito si viene accolti al rez-de-chaussée da un suono cupo ed ossessionante nel suo ripetersi sempre uguale, che ci accompagna nel cammino attraverso un labirinto di giganteschi cavalletti in

acciaio, pensati dallo stesso Lynch per accogliere gli incubi di Bob. Tra tutti, Bob Finds Himself in a World for which He Has No Understanding (2000) è una finestra su di un inferno molto verosimile. Qui trovano posto anche le opere più recenti del regista americano, la sua personale visione dell’american family, svolta per mezzo di collages di figure umane a grandezza naturale, vestiti di tutto punto, che si scambiano battute un attimo prima di infilzarsi, e l’insieme possiede un certo humor nero. I quadri non hanno confini, guidano l’occhio in un vortice di scure e violente pennellate che fanno da base per le sagome sub-umane e per i caratteri incerti, incisi nella crosta di colori.

Il battito del cuore accelera, l’aria inizia a mancare mentre si gira tra i Distorted Nudes (2004), fotomontaggi numerici creati a partire dalle fotografie erotiche degli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo della collezione Uwe Scheid. I corpi, sempre femminili, sono amputati e decapitati, incubi evocati con la materia degli oggetti quotidiani. L’occhio cerca d’istinto un po’ di conforto nel verde che intravede oltre le pareti di vetro della sala.
Immagini di case popolano la sala piccola sul lato opposto del piano terra. Ma sono case in fiamme, immerse in un’oscurità senza fine, anch’esse arricchite da collages e sovraincisioni che caricano le immagini di una violenza enigmatica. Ma qui si svolge anche il capolavoro della tassonomia dell’incubo lynchiano. Sulle pareti della sala sono esposti più di 500 disegni, schizzi e note varie, testimonianze della fervida immaginazione del regista americano, che ha raccolto e classificato ogni foglietto, post-it o carta intestata di albergo sui quali avesse posato la matita, fin dall’adolescenza. E il risultato è una galleria di piccole finestre aperte sul suo mondo, dalle quali possiamo cogliere i segni, ora manifesti ora latenti, della visione che ha attraversato la sua opera. Le figure sono nette, geometriche come schizzi scenografici, mono o bicrome nella maggior parte dei casi, disposte in ordine cronologico. Una intera biografia per piccoli quadri.
La classificazione cronologica salta invece al piano inferiore, dove si affastellano disegni, acquerelli e fotografie. Subito è evidente la predominanza dei toni del grigio e del nero, se si eccettua il rosso vivo dei rossetti e delle unghie delle donne ritratte nelle fotografie come fantasmi degli anni 50. Altro soggetto di predilezione sono le fabbriche abbandonate, i dettagli delle loro parti in disfacimento, come corpi malati in cemento, ferro e vetro.
Disfatti sono anche i pupazzi di neve, fotografati nei backyards delle case di provincia di Boise, Idaho, dove l’artista ha trascorso parte della sua infanzia. La neve disciolta ha lasciato ancora in piedi delle forme indistinte, parenti prossimi della creatura informe di Eraserhead. Sono immagini evocative nella loro nudità, poetiche perchè immobili nello spazio e nel tempo. E’ qui che si sente più forte e puro lo sguardo di Lynch.

Nei disegni “di formazione”, dove l’autore inizia a interrogarsi sul rapporto uomo-macchina

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è sempre più incombente la presenza del nero come sfondo necessario per sprofondare a caccia dei propri incubi. Lungo il corridoio rosso a chiazze nere, suggerito da uno dei suoi stessi disegni che è stato anche ricostruito in scala naturale, si possono scoprire i Kits (Fish kit e Chicken kit), opere effimere di gusto grottesco di cui non restano che queste belle foto in bianco e nero.

Per finire, non poteva mancare un teatrino d’antan costruito secondo il disegno dello stesso Lynch, in cui ci si può rilassare (si fa per dire) davanti ai suoi cortometraggi. Tra questi, Grandmother (1970), è a dir poco imperdibile. Davanti agli shorts di Dumbland, cartoon pensato per il web, si può addirittura sorridere.
Se la visita da sola merita il viaggio a Parigi, aggiungiamoci che dal 19 al 24 maggio 2007 sono previste una piccola serie di Soirées Nomades musicali, con concerti e “conferenze sonore”, oltre ad una proiezione speciale delle opere meno conosciute di Lynch che si è tenuta il 3 maggio.


The air is on fire
David Lynch
3 marzo - 27 maggio 2007
"Fondazione Cartier per l’arte contemporanea"
Parigi 14/e
Boulevard Raspail, 261
Tel. +33 1 42 18 56 50 - Fax +33 1 42 18 56 50
www.fondation.cartier.com
Orario: dal martedì alla domenica dalle 12.00 alle 20.00.
Il martedì fino alle 22.00

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