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Mauro Casiraghi - La camera viola

Fazi editori, aprile 2007

sabato 23 giugno 2007, di Lisa Bentini

Dalla sceneggiatura de La Squadra al romanzo La camera viola: l’esordio letterario dello sceneggiatore Mauro Casiraghi promette davvero bene. Con un ritmo incalzante e uno stile asciutto – dai quali affiora l’esperienza di sceneggiatore – Casiraghi racconta il risveglio di Sergio in seguito ad un’incidente subacqueo. Sin dalle prime pagine si intuisce la doppia natura – reale e metaforica – dell’incauta immersione del protagonista a largo delle coste dell’Argentario. Non è un caso, infatti, che il libro prenda le mosse dall’incidente marino e si chiuda con un’immagine del mare. Dopo essere riemerso dalle acque del Lete, laggiù dove la memoria di trasforma in oblio, Sergio si accorge di ricordare poco o nulla. Solo un’immagine si ripresenta come un ritornello ossessivo davanti ai suoi occhi ed è un’immagine nitida ed isolata, una vera e propria reverie, per dirla alla Bachelard:

Bachelard


«Chiudo gli occhi. E dal buio sbuca di nuovo il ricordo. Il suo corpo in controluce davanti alla finestra. I capelli sciolti sulle spalle nude. Tutto intorno, come una cornice, la parete della camera. Il colore della parete è...».

Intorno alla camera viola Casiraghi costruisce un piccolo giallo dell’anima: chi è quella donna? E soprattutto esiste o è solo una chimera? Chissà se Casiraghi mentre scriveva il suo romanzo ha pensato alla «sera d’amore di viola» della Notte di Dino Campana... Comunque sia andata, anche qui, come nel poeta di Marradi, il viola diviene il colore del ricordo e insieme al viaggio reale di Sergio alla ricerca della donna veduta, c’è un altro viaggio tutto interiore, continuamente trasfigurato. Il romanzo procede su questi due binari: da una parte i ricatti della vita quotidiana, le delusioni di un matrimonio fallito, i dialoghi con gli amici, il rapporto con la madre e la figlia adolescente. E dall’altra la ricerca di un’immagine che non si può dimenticare.
Questi due binari non corrono separati, ma s’incastrano perfettamente grazie anche ad un intelligente alternarsi dei tempi verbali. L’indicativo presente accompagnato dalla prima persona è un racconto in presa diretta di quello che Sergio vede, un’istantanea. L’imperfetto e il passato remoto sono invece un tuffo nel passato che continuamente riemerge nella mente del protagonista. A volte questi verbi si mescolano nello stesso periodo e con grande efficacia rendono la dimensione onirica del romanzo:
«un’altra camera dipinta tutta di viola. C’era una finestra. Tu l’hai aperta, è entrato il sole. Ti sei affacciata e...».
Nel romanzo il vedere ha un ruolo centrale (tanto che in un passo del libro Casiraghi evidenzia

Balthus - La chambre (1952)

il verbo in corsivo). La visione è strettamente connessa a un’altra decisiva presenza: la fotografia. Una presenza costante nella vita di Sergio che diventa uno strumento di scoperta ed interpretazione del reale. La camera viola si può allora definire una camera oscura dei pensieri di Sergio e del mondo che si avvicenda intorno a lui: «mi innamorai di lei sviluppando le foto in camera oscura» racconta Sergio ripercorrendo la storia con la sua ex moglie.

Infine La camera viola svela un altro riferimento, questa volta pittorico ed è La Chambre di Balthus: «una ragazza nuda riversa su una poltrona. La luce entra di taglio dalla finestra da cui un nano in gonnella ha scostato le tende». Ancora una volta la narrativa contemporanea mette in luce il prezioso dialogo tra arti visive e letteratura.