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11 - Che il gallo canti pure. Ritratti
Movimenti di pensiero. Amina Mama
“L’omosessualità – e l’omofobia – sono realtà strettamente legate al complesso sistema di oppressioni patriarcali che ancora pervade le nostre esistenze e intralcia la democratizzazione delle società africane”
venerdì 19 ottobre 2007, di
Perché vi interessiamo?
Perché volete studiare le donne africane ?
(Ifi Amadiume)
Che la chiave di un’emancipazione femminile africana stia nell’ordine della pluralità, dell’apertura ad una nozione radicale di differenza, è anche chiaro ad Amina Mama, curatrice del prezioso volume Engendering African Social Sciences (1) , attualmente direttrice della rivista elettronica «Feminist Africa» e dell’African Gender Institute di Cape Town, in Sudafrica.
La biografia intellettuale di Mama è diversa da quella di Amadiume e Liking; pur essendo una teorica e sostenitrice della necessità di un paradigma africano per le scienze sociali, Mama non comincia la sua ricerca con un’auto-etnografia sul continente africano. Psicologa di formazione, si dedica infatti, alla fine degli anni ottanta e nei primi anni novanta, a ricerche sulle comunità inglesi della diaspora africana (2) con lo scopo dichiarato di andare oltre le teorizzazioni di Frantz Fanon sull’identità “negra” come “maschera bianca”, di decolonizzare la psicologia sociale e far emergere quindi le intersezioni di “razza”, sesso e classe all’opera nella formazione delle soggettività delle donne della diaspora africana. Tornata in Africa, prima in Nigeria, poi in Senegal, ed infine in Sud Africa, Mama rivendica la necessità di radicare il discorso femminista africano nella realtà quotidiana delle donne africane, ovvero di ripensare il dibattito storiografico su

tradizione e modernità attraverso una ricca e aggiornata documentazione delle molteplici e ibride culture riguardanti le identità di genere in Africa.
A differenza di Ifi Amadiume, impegnata in uno studio della natura e delle forme del potere delle donne nelle culture matriarcali di origine precoloniale, e di Werewere Liking, interessata a non interrompere la catena di trasmissione e attualizzazione del ricco patrimonio di saperi iniziatici femminili africani, Amina Mama si preoccupa, una decina di anni più tardi delle altre, di ovviare alla mancanza di studi aggiornati su un campo più specifico e delicato, ma di non minore rilevanza politica, quello della sessualità contemporanea africana:
A parte gli studi sulle questioni delle mutilazioni genitali femminili, della prostituzione, del controllo della fertilità e delle malattie, e naturalmente i primi studi coloniali sulle iniziazioni, i rituali di pubertà e di matrimonio, condotti nell’ordine del paradigma tribale, o le collezioni fotografiche per tavolini da caffé di Leni Riefenstal e Mirella Ricardi, rimangono scoperte intere aree di studi sulle culture africane della sessualità. Sono molto rari gli studi analitici sulle trasformazioni delle tipologie e delle forme di relazione fra i sessi che hanno accompagnato i recenti e profondi cambiamenti sociali, economici e politici. Così come sono rari gli studi sulla mascolinità, sulla femminilità, sull’omosessualità, e sui cambiamenti prodotti su di essi dall’industrializzazione, dall’urbanizzazione, dalla militarizzazione, dalle guerre civili, e dai diversi aspetti dello sviluppo e del sottosviluppo. (3)
Secondo Mama, la povertà di ricerche approfondite nel campo della sessualità rappresenta un grosso limite per l’attivismo femminista africano, in quanto impedisce una comprensione analitica del quadro in cui prendono forma gli attuali sistemi di oppressione delle donne, e le nuove strategie di resistenza e liberazione delle giovani generazioni africane. Con l’attivazione del Mapping Sexualities Research Project, in collaborazione con Tadyiwaa Manuh, direttrice dell’Institute of African Studies di Legon (Ghana), Mama ha dato vita ad una rete transnazionale di ricercatrici africane in scienze sociali, formate per indagare la pluralità e complessità delle culture della sessualità in contesti urbani e rurali dell’Africa anglofona.
Accanto a ricerche sulle trasformazioni in chiave urbana, capitalistica e mediatica di iniziazioni sessuali “tradizionali” come l’iniziazione Ssenga in Uganda, a ricerche sui villaggi-rifugio per donne accusate di stregoneria in Ghana, o a ricerche sull’utilizzo arbitrario della Sharia nell’inasprimento del controllo della sessualità delle donne di estrazione umile nel nord della Nigeria (4) , nell’orizzonte di ricerca di Amina Mama e delle sue colleghe vi è anche un’apertura decisa al campo tuttora poco frequentato degli studi sull’omosessualità: «l’omosessualità – e l’omofobia – sono realtà strettamente legate al complesso sistema di oppressioni patriarcali che ancora pervade le nostre esistenze e intralcia la democratizzazione delle società africane» (5) .
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Ciò che emerge dagli articoli e saggi pubblicati da questa rete di ricercatrici è una realtà di pratiche e culture multiformi, variabili, in cui le semplici categorie di modello “tradizionale” e “moderno” dei rapporti di genere risultano del tutto inadeguate a spiegare quello che appare essere chiaramente un processo continuo e sincretico di negoziazione e rielaborazione di elementi culturali e pratiche individuali e collettive appartenenti a mondi differenti e compresenti. Dove, ad entrare in gioco all’interno di una tradizione sedimentata di dominio maschile è una fitta rete di fattori di distinzione su base sociale, economica, generazionale, classista e razzista che attraversa e frammenta il mondo femminile africano, impedendo di considerarlo come una realtà unitaria, omogenea e aprioristicamente coesa.
Ciò che appare altrettanto chiaro è che la pur legittima (perché politica) aspirazione di queste intellettuali a radicare la propria ricerca e teoria femminista all’interno di un quadro storico ed epistemologico strettamente afro-centrato, relativamente ostile alla produzione dell’antropologia e della storiografia femminista occidentale, rischia di risultare una scorciatoia ideologica contraddetta dai risultati stessi delle ricerche prodotte; risultati che mostrano a qual punto la postcolony africana sia una realtà pienamente inserita nei flussi transnazionali di persone e culture della modernità globale.
La stessa carriera delle intellettuali femministe citate in questo articolo ne è un’espressione: nate in stati-nazione africani dotati di confini di origine coloniale, formate alla scuola di un panafricanismo di matrice diasporica, in università europee, africane ed americane, in reti internazionali della ricerca femminista, impegnate con organizzazioni non governative anche occidentali, godono del “privilegio” dello sguardo di intellettuali postcoloniali che con bell hooks potremmo descrivere come «capace di una duplice focalizzazione, dall’esterno all’interno, e dall’interno verso l’esterno» (6) . Sarebbe un peccato se questo sguardo fosse incrinato da una forma di etnocentrismo invertito che impedirebbe loro di stare, come ha scritto molto tempo prima Frantz Fanon, in «quel luogo di squilibrio occulto in cui sta il popolo» (7) , e di realizzare il progetto politico che Molara Ogundipe acronimava così: STIWANISM - Social Transformation In Africa Including Women.
Note
1. A. M. Iman, A. Mama, Fatou Sow (a cura di), Engendering African Social Sciences, cit. qui.
2. A. Mama, The Hidden Struggle: Statutory versus Voluntary Responses to Violence Against Black Women in the Home, London Race and Housing Research Unit, 1989; Beyond the Masks. Race, Gender and Subjectivity, Routledge, 1995.
3. A. Mama, Women’s Studies and Studies of Women in Africa During the Nineties, cit., p. 10.
4. Queste ricerche sono state condotte rispettivamente da Sylvia Tamale, Yaba Badoe, Charmaine Pereira. La restituzione dei primi risultati del Mapping Sexualities Research Project è pubblicata nel numero 5/2005 della rivista «Feminist Africa», intitolato Sexual Cultures.
A. Mama, Sexual Cultures: Editorial, «Feminist Africa», n. 5, 2005, p. 4.
bell hooks, Feminist Theory. From Margin to Center, South End Press, 1984, p. 3.
Frantz Fanon, I dannati della terra, Edizioni di Comunità, 2000 [1961], p. 156.
Qui un altro percorso su tre scrittrici dell’Africa occidentale (Aidoo, Emecheta, Darko) di Edith Kohrs-Amissah.