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05 - Scritture

Federica Frediani e la scrittura di viaggio al femminile. "Uscire"

"Uscire", Diabasis 2008.

mercoledì 7 maggio 2008, di Antonio Prete

E’ uscito "Uscire" di Federica Frediani, a coronamento di un ramificato percorso di ricerca che intreccia letteratura, storia del pensiero, mito e riflessione sui generi (intesi tanto come generi letterari quanto come femminile e maschile). Un bellissimo esempio di sguardomobilismo, il cui esplicativo sottotitolo recita "La scrittura di viaggio al femminile: dai paradigmi mitici alle immagini orientaliste".
Omaggiamo qui la studiosa e la compagna di viaggio pubblicando l’intensa Prefazione al volume firmata da Antonio Prete, e a lui unendoci nell’augurio finale.

Il libro che il lettore si accinge a leggere è un libro, si potrebbe dire, di legami. Legami anche non consueti, e tuttavia, come il lettore non tarderà ad accorgersi, necessari. Dire di legami, mentre ci si muove tra fantasmagoriche e incessanti e avventurose rappresentazioni di viaggio, può sembrare improprio: perché partire, si sa, è un patto con la lontananza, e per questo l’addio, la separazione, l’abbandono, che è abbandono dei legami, sono le prime figure che accompagneranno il viaggiatore e alimenteranno, come qualche volta potrà accadere, il suo mal du pays. Ma questo libro di Federica Frediani sul viaggio, originale nell’impianto e rigoroso nell’esecuzione, mostra, nella labirintica e inquieta letteratura odeporica (ecco che compare, non chiamato, il genere!), proprio la forza e la persistenza dei legami, delle presenze, delle abitudini, delle credenze, e anche delle speranze, che costituiscono il prima della partenza, un solido e talvolta ossessivo prima.
Un noto appunto, o progetto, di Baudelaire in Mon coeur mis à nu dice : “Étude de la grande Maladie de l’horreur du Domicile”. Sia il poeta Auden sia il viaggiatore Chatwin hanno preso questa frase baudelairiana sull’“orrore del domicilio”, su questa speciale malattia,

Cristina Trivulzio di Belgiojoso

a epigrafe di propri scritti sul viaggio. Anche se il poeta dei Fiori del male non lega immediatamente questa frase all’idea di viaggio. Idea che, nella sua irididescenza multiforme, si declina invece in memorabili poèmes dedicati appunto al viaggio. Ma è anche vero che quell’orrore del domicilio inteso come malattia, consegnato alla brevità lampeggiante di un progetto – progetto di studio! - sembra suggerire una delle ragioni che presiedono alla fuga, al viaggio come fuga in una lontananza incerta e per questo attraente, arrischiata e per questo invitante. Resta comunque che Baudelaire – è una mia tutta personale idea – ha dato in un verso de Le Voyage la più bella definizione dei viaggiatori: quelli i cui desideri hanno la forma delle nuvole ( “Ceux–là dont les désirs ont la forme des nues”).
Questo libro di Federica Frediani, con passaggi di levigata grazia saggistica e di sorvegliata escursione critica, muove anch’esso dal domicilio, anzi, più precisamente, dalla stanza. Ma qui lo sguardo, e il sapere, e il sentire femminile non evocano, come primo elemento, l’orrore del domicilio, e l’eventuale fuga, ma la trasformazione dello spazio estraneo in spazio proprio, il dominio su quello spazio recintato, il suo fantasticante attraversamento, e infine lo sconfinamento oltre ogni imposta recinzione. In questo secolare lavoro di controllo e di attesa e di metamorfosi del recinto si forma quel nomadismo dello sguardo che permetterà alle donne di affrontare le esperienze del viaggio in modi ben diversi, certamente meno garantiti da schemi e da convenzioni, di quanto non accada agli uomini. Dunque, questo viaggio nell’idea di viaggio, nel ventaglio colorato delle sue rappresentazioni, qui parte da una stanza. Nel cuore della stanza c’ è una donna che si muove, e pensa, e sogna, e soffre: sia che la tessitura infinita di una tela la imprigioni nella pena di un desiderio senza scampo sia che l’energia del raccontare e la sapienza del dire e dell’inventare la renda padrona del tempo ed esorcizzi fino al possibile la morte.
Il mito, gli indugi sul mito, sulle sue figure, aggiungono a questo viaggio una particolare fascinazione. Che questo spazio domestico, questo recinto dell’oikos, abbia nell’harem la sua ambigua e misteriosa raffigurazione o che si popoli di narrazioni e di evocazioni avventurose, tese, tutte, a esorcizzare o allontanare la morte, come fa Sheherazade, è lì, nel cuore di quello spazio - labirintico o misurabile - che prende forma lo slancio per l’affermazione di sé. Avviene insomma la metamorfosi della prigione in una “stanza tutta per sé”.
Se non è esistito, come ricorda qui l’autrice, “un Grand Tour femminile come viaggio codificato e rituale”, c’è però un altro viaggio i cui statuti e le cui stazioni le

Lady Mary Wortley Montagu

donne, con antica e rinnovata sapienza, intraprendono, districandosi anche dal potere delle immagini forti, dagli stereotipi maschili: è quello che le porta ad osservare paesaggi e costumi, lingue e culture, con un occhio preoccupato se non altro di non soggiacere ai luoghi comuni, alle immagini consolidate che la letteratura di viaggio maschile ha lungo il tempo elaborato. Qui, nel percorso di questo saggio, è l’Oriente, il viaggio in Oriente raccontato da alcune donne – in particolare da Lady Mary Montagu e da Cristina Trivulzio di Belgiojoso - a mostrarsi come esempio privilegiato di una traversata che ha occhi e giudizi nuovi, che ha impressioni e domande anch’esse nuove. Basti pensare a come l’harem e l’hamman - anch’essi due recinti, due interni - sono osservati da vicino, in certo senso rivelati al di fuori della incrostazioni oleografiche ed esotiche.
Ecco che, giunto alle ultime pagine del libro, e non intimorito dalla solida e utilissima bibliografia, il lettore intende bene il senso del titolo, Uscire, e sente in quel titolo il vento di una ricerca, il vento stesso della vita.
M’è accaduto di seguire da vicino Federica Frediani negli anni della sua laurea e poi del dottorato, e di ammirare, e di conseguenza assecondare, la sua assidua e vigilissima fedeltà ad un itinerario nel quale le escursioni letterarie, pur proficue e vitali, facevano parte, sempre, di un cammino proposto, di un viaggio che, non distraendosi né perdendosi, diventava sempre più ricco di scoperte. E ora che con questo libro lei ha dispiegato la vela nella navigazione che è la vita – anche la vita degli studi - non mi resta che gridarle dal molo, o forse – meglio - da un’altra, prossima, imbarcazione: Buon viaggio!