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Ejchenbaum - L’illusione dello "skaz"
Da B. M. Ejchenbaum, Skvoz’ literaturu, Leningrad, 1924.
venerdì 23 aprile 2010, di ,
La traduzione e il glossario di queste importanti pagine di Ejchenabum sono di Elisa Baglioni e Sara Martinelli. Qui la loro presentazione del testo.
Parliamo sempre di letteratura, di libro, di scrittore. La cultura della carta stampata ci ha abituato alla lettera. Per noi bibliofili la parola è solo ciò che vediamo; è qualcosa di indissolubilmente legato al linguaggio scritto. Spesso dimentichiamo del tutto che la parola di per sé non ha niente in comune con la lettera, che è qualcosa di vivo, un’attività in movimento, forgiata dalla voce, dall’articolazione, dall’intonazione, cui si aggiungono anche i gesti e la mimica. Pensiamo: lo scrittore scrive. Ma non è sempre così e nell’ambito dell’arte della parola non lo è assai spesso. Alcuni filologi tedeschi (Sivers, Saran e altri) anni fa insistevano sulla necessità di una filologia “uditiva” (Ohrenphilologie) in luogo della filologia “visiva” (Augenphilologie). Era un’idea proficua. Per quanto concerne la poesia un’analisi di questo tipo ha già dato interessanti risultati. Il verso per sua stessa natura è un particolare genere di sonorità: è pensato per essere pronunciato, perciò il testo è solo la sua trascrizione, il suo segno. Una simile analisi “uditiva” risulterebbe proficua anche nell’ambito della prosa d’arte. Infatti alla sua base sta lo stesso principio dello skaz 1, la cui influenza è spesso riscontrabile nei costrutti sintattici, nella scelta delle parole e della loro distribuzione e persino nella composizione.
Siamo abituati alla scolastica separazione tra letteratura orale e scritta. Tuttavia, se da un lato la bylina o il racconto [skazka] “in generale”, separato dal narratore [skazitel’], sono qualcosa di astratto, dall’altro (questo è particolarmente interessante), gli elementi della narrazione e della viva improvvisazione orale si celano anche nella cultura scritta [pis’mennost’]. Lo scrittore spesso pensa a se stesso come a un narratore [skazitel’] e, tramite diversi procedimenti, cerca di conferire al suo discorso scritto l’illusione dello skaz. Vi sono, ovviamente, forme specifiche proprie della scrittura, ma la letteratura (e più propriamente la cultura letteraria, slovesnost’) non si esaurisce qui e infatti anche in questa si possono trovare le tracce della parola viva.
Non è un caso che siamo carenti di romanzi autentici e non siamo più capaci di scriverli al modo di Spielhagen o Zola o dei classici inglesi. È come se avessimo perso il fiuto per questa forma e ne avessimo disimparato la tecnica. Il romanzo è una forma mista, nata proprio nell’ambito della cultura scritta [pi’smennaja kul’tura]. Un romanzo si scrive ma non si trascrive ed è scritto appositamente per la lettura. La parola viva del narratore[rasskaz?ik] è sommersa da questa massa ingombrante, è senza voce. I lunghi dialoghi, le ampie descrizioni degli avvenimenti, la complessità della fabula: tutti questi elementi fanno di un romanzo un libro. Questo genere in Russia si è sviluppato in modo originale e in un tempo relativamente breve – solo negli anni Sessanta e Settanta. I romanzi di Dostoevskij sono costruiti sulla fusione tra appassionato tono personale e tecniche drammatiche (lo sviluppo del dialogo e la conversazione). In Tolstoj la costruzione si fonda sulla varietà delle “connessioni” psicologiche e sui procedimenti dell’analisi biografica, non a caso ha iniziato con Infanzia e Adolescenza. I romanzi di Turgenev sono vere e proprie novelle [novella], dove non si trova mai un nucleo stabile per tutti i personaggi, benché di solito non siano numerosi; è facile distinguere Liza e Lavreckij dagli altri, che costituiscono soltanto lo sfondo. Questo gli rende semplice arrestare lo sviluppo della fabula e in otto capitoli raccontare in dettaglio la storia di Lavreckij. Cio è tipico di Turgenev, che aspira sempre a raccontare, rivolgendosi sempre ad un ascoltatore. Turgenev «[…] aveva il dono della parola e parlava volentieri, in modo piano, amava soprattutto raccontare più che conversare», come si afferma in una raccolta di memorie. Nei suoi romanzi il dialogo occupa una posizione debole. Nelle Memorie di un cacciatore è lui il narratore ed è questo il suo tono autentico. Sono vere e proprie narrazioni [povesti] che ‘si narrano’ e, persino dall’esterno, sono spesso costruite sull’illusione di un racconto orale [rasskaz], direttamente e realmente ascoltato, come Primo amore, Racconto di padre Aleksej, Un Amleto del distretto Šigroskij, La reliquia vivente.
Un racconto [skazka] nella sua essenza è sempre improvvisazione. La trama ne costituisce solo lo scheletro, la trascrizione è solo un fatto a se stante. Queste caratteristiche originarie si conservano anche nella novella scritta. Il novelliere [novellist] tende solitamente a suscitare con vari procedimenti l’impressione del racconto diretto, dell’improvvisazione. Giacché l’artista per sua natura è sempre un improvvisatore. È la cultura scritta che lo costringe a scegliere, fissare, elaborare, ma più volentieri egli mira a conservare almeno l’illusione dell’improvvisazione libera. Quando questo si fonde con il rigore della forma poetica, ne risulta una felice impressione della forza dell’artista, l’impressione del gioco. Così è stato composto l’Evgenij Onegin, la naturalezza di tono unita alla rigidità ritmica del discorso producono un grado supremo di libera improvvisazione. Non è forse vero che Puškin creò la figura di Belkin, poiché gli serviva, anche solo in modo fittivo, un determinato tono del narratore? A Belinskij (dall’alto della sua teoria) non piacquero I racconti di Belkin, tuttavia vi riconobbe «l’arte del raccontare» (conter) e ammise che «volentieri e perfino con intenso piacere li leggerà una famiglia riunita intorno al focolare durante una lunga e noiosa sera d’inverno». È emblematico inoltre che Puškin abbia anche indicato le persone da cui Belkin aveva ascoltato i racconti [rasskaz], volendo così accrescere l’illusione dello skaz diretto e spostarne la provenienza dallo scrittore al narratore [skazitel’]: Il mastro di posta è raccontato dal consigliere titolare, Un colpo di pistola dal tenente colonnello, Il fabbricante di bare dal committente, La tempesta e La signorina da una giovinetta. Non per nulla viene detto che la vecchia dispensiera si accattivò la fiducia di Belkin con «l’arte di raccontar storie». Fu la stessa dispensiera poi, come riportato nella prefazione, a sigillare le finestre dell’ala della servitù con la prima parte del romanzo incompiuto di Belkin. Ed aveva ragione, egli non l’avrebbe mai terminato e, se l’avesse fatto, sarebbe stato con ogni probabilità un fallimento.
Gogol’ è un narratore [skazitel’] atipico: fa uso della mimica, dei gesti e delle smorfie. Non si limita a raccontare, ma rappresenta e teatralizza. È significativo che iniziò dai racconti [skazka] e li mise in bocca a Rudyj Pan’ko. E poi lui stesso inventò delle forme particolari di skaz, con esclamazioni e parolette d’ogni genere.
Leskov è pure narratore nato e ancora oggi sottostimato. I romanzi non gli riuscivano un granché, ma certe cose come L’angelo sigillato o Agli estremi limiti del mondo sono esempi di alta maestria letteraria. E nuovamente è significativo che, tanto l’uno che l’altro, siano esposti da determinati personaggi come veri e propri racconti orali [rasskaz]. In questo senso il suo allievo diretto è Remizov, che narra senza sosta e costringe ad ascoltare. Il suo discorso scritto si costruisce secondo le leggi di quello orale, conservandone la voce e l’intonazione. «Sul significato del termine moria dirò con le parole della santa vita di Nifont: sparpagliandosi come mori, quando di questi ve n’è un subisso, è ciò propriamente la moria, il nostro tempo di guerra, che è venuto a gran noia, la tenebra dello spirito, la nerezza dell’anima, l’abominio del corpo» (2) (Tra la moria, 1917, nota). A volte riferisce la provenienza dei racconti [rasskaz] con dettagli caratteristici: «raccontava Anna la vecchietta del villaggio Podvor’e» o «raccontava la donna di Olonec al tempo della mietitura del 1914». Non a caso egli apprende l’arte del raccontare dalle fiabe popolari e dai racconti [povest’] dell’antica Russia. Nella cultura scritta [pis’mennost’] antico-russa si osserva il conflitto tra il libro e la parola viva. In questo senso è di straordinario interesse l’arciprete Avvakum, il cui stile, credo, abbia fortemente influenzato Leskov.
Di esempi se ne potrebbero fare diversi. La scrittura per l’artista della parola non è sempre un bene. Il vero artista della parola reca in sé le forze originarie, ma organiche, direi, della narrazione orale. La parola scritta è a suo modo un museo. Nella nostra epoca folle, e allo stesso tempo creativa, si assiste al ritorno della parola viva. Da un lato Remizov ci riporta alla fiaba, dall’altro Andrej Belyj spezza l’usuale sintassi dello scritto e ricorre persino a tecniche puramente esteriori (una punteggiatura di tipo particolare, etc...) per conservare nel discorso scritto tutte le sfumature dello skaz orale. Anche la filologia dovrebbe prestarvi attenzione. Qui si aprono nuovi percorsi sia per la critica che per lo studio della prosa d’arte, ambito a tutt’oggi molto oscuro.
(1918)
Note
1. Tipo di narrazione letteraria che mima la viva narrazione d’un testimone o partecipe del fatto, solitamente contadino o uomo del popolo, attraverso l’uso di forme ed espressioni del parlato, del dialetto o di linguaggi tecnici, tipici del mondo che si vuole rappresentare. Tale procedimento genera una rottura con il codice scritto di una determinata epoca e restituisce una letteratura mimetica e d’immedesimazione. Problematiche analoghe a quelle sollevate dallo skaz, nella critica letteraria occidentale, vengono trattate negli studi sul punto di vista. Tanto è importante lo skaz nella letteratura russa classica e contemporanea da aver generato una biblioteca di studi.
2. Remizov collega la parola mur’e (moria, morbo) a mur (moro) secondo un criterio paraetimologico, tipico della cultura popolare. Inoltre il termine mur in russo conserva il riferimento biblico agli Etiopi durante la prigionia del popolo d’Israele (cfr. Ezechiele 30, 4 e Isaia 20,5). Una traccia paraetimologica è avvertibile anche nell’uso della parola mrak (tenebra), procedimento analogamente applicato dalla poetessa Marina Cvetaeva nel saggio L’arte alla luce della coscienza in Il poeta e il tempo, Adelphi, 1984.

Glossario
Skaz [????]: sostantivo la cui radice deriva dal verbo skazat’/kazat’ (parlare, dire). Tipo di esposizione letteraria che mima la viva narrazione d’un testimone o partecipe del fatto, solitamente contadino o uomo del popolo. Il discorso del narratore (reale o immaginario) può essere orientato sul modo semplice di parlare, sul dialetto, sul linguaggio professionale o rappresentare una complessa combinazione di questi elementi con la norma letteraria (Gogol’, Leskov, Zoš?enko).
Lo skaz si differenzia dalla stilizzazione per l’uso di forme linguistiche e di generi extraletterari. I casi in cui nell’opera sia indicato un narratore, ma la sua parola non si contrapponga a quella dell’autore, non si tratta di skaz.
Si ha l’effetto dello skaz attraverso la scelta di specifiche forme lessicali e morfologiche, di costrutti sintattici propri dell’oralità o in alcuni casi della tradizione letteraria antica. Ne sono un esempio la ritmizzazione, il modo recitativo, l’abbondanza di punti interrogativi ed esclamativi, le forme dialettali, la destrutturazione della lingua scritta e delle norme grammaticali che le sono proprie.
Skazka [??????]: in origine opera orale su eventi di fantasia (fiaba, storia). Nella classificazione dei generi corrisponde ai termini “fiaba” e “favola”.
Skazitel’[?????????]: narratore, bardo (pevec) di byline (genere epico russo) e racconti popolari.
Pis’mennost’ [????????????]: composto dal sostantivo pis’mo (nell’accezione di “sistema dei segni grafici di una lingua”) e -ost’ (suffisso proprio dei sostantivi astratti). È il prodotto dell’atto di scrivere. In senso generale costituisce l’insieme dei mezzi scritti di comunicazione: il sistema grafico, l’alfabeto, l’ortografia. In senso stretto, rappresenta l’insieme dei documenti scritti, letterari e non, di un popolo.
Slovesnost’ [???????????]: composto dal sostantivo slovo (parola) e -ost’ (suffisso proprio dei sostantivi astratti). Termine di ampio significato con cui si intende un’opera che si esprime nella parola, scritta o orale. (es. Slovesnye nauki: filologia; Slovo o polku Igoreve: l’opera più antica della letteratura russa, che in italiano è stata tradotta come Canto, Canzone o Cantare della schiera di Igor’). Termine più ampio rispetto a Literatura (dal latino littera, ae) con cui si intende un’opera scritta, anche se non necessariamente artistica.
Novella [???????]: termine, mutuato dalla letteratura italiana, che viene usato per definire una delle forme della narrazione. Alcuni linguisti russi associano l’uso del termine prevalentemente alla produzione scritta di racconti.
Povest’ [???????]: deriva dal verbo povedat’ (raccontare, confidare un segreto). L’antico significato del termine "vest’" (notizia di un fatto) indica che questo genere assorbe in sé i racconti orali, gli eventi visti o ascoltati direttamente dal narratore.
La nascita di questo genere letterario risale alla Rus’ dell’XI secolo quando, in seguito all’influenza della cultura bizantina, la letopis’ (la trattazione rigidamente annalistica) divenne povest’, ossia “racconto”, “narrazione” (1) . Il modello archetipico è la Povest’ vremnnych let’ (Cronaca degli anni passati) redatta nei secoli XI-XII, riassume le caratteristiche religiose ed ecclesiastiche della più antica letteratura della Rus’ (2) ; in epoca posteriore seguono Povesti di carattere storico-guerresco come il “ciclo tartarico”, di cui è un esempio la Povest’ o razorenii Rjazani Batyem (Povest’ sulla distruzione di Rjazan’ da parte di Batyj), di carattere amoroso come la Povest’ o Petre i Fevronii (Povest’ di Pietro e Fevronija) del XVI secolo (3) .
Il XVII secolo segna il passaggio della povest’ a forma di narrativa laica, di cui sono esempio Povest’ o Kerpe Sutulove (Storia di Karp Sutulov) e la Povest’ o Gore i Zlo?astie (Storia di Dolore e Malasorte).
In epoca moderna, a seguito dei mutamenti sociali e dello sviluppo della letteratura russa, si opera una netta distinzione tra i generi letterari individuando, da un lato, il racconto (o novella) e dall’altro il romanzo come generi definiti. La povest’ denota una forma narrativa intermedia tra i due, dove l’intreccio [sjužet] è meno complesso rispetto al romanzo, ma più ampio del racconto. Autori di povesti sono stati i maggiori scrittori della letteratura russa e spesso sono questi a riconoscere l’appartenenza al genere, così Povesti Belkin (I racconti di Belkin) di Puškin, Bednaja Liza (La povera Lisa) di Karmzin, Peterburgskie povesti (I racconti di Pietroburgo) di Gogol’, Pervaja ljubov’ (Primo amore) di Turgenev, Dvojnik (Il sosia) di Dostoevskij, Smert’ Ivana Il’i?a (la morte di Ivan Il’i?) di Tolstoj.
Non ha un corrispettivo nelle altre lingue, ma si avvicina al termine tedesco “Geschichte”.
Rasskaz [???????]: composto dal suffisso raz- (valore dissimilativo equivalente all’italiano dis-; per estensione indica anche un’azione suddivisa e scandita) e skaz (vd. termine skaz), si potrebbe tradurre letteralmente con “dire per filo e per segno, enumerando”. Rasskaz è il corrispettivo della forma italiana “racconto”, dell’ erzählung tedesco e del tale inglese, coincidenza riscontrabile anche nelle rispettive derivazione etimologiche. Tale risale al protogermanico “to tell” che va inteso come “to calculate”, “to mention in order”. Allo stesso modo il verbo “zel(le)n” ed “erzel(le)n” dell’alto tedesco medio sono utilizzati con il significato di contare, enumerare, raccontare oralmente, mentre la radice italiana riporta al verbo “contare” nel significato di “narrare” a cui si aggiunge il rafforzativo “ra-“, parallelo al prefisso “ri-”.
Note al glossario
1. R. Picchio, La letteratura russa antica, Rizzoli, Milano 1968, p. 41.
2. Ivi, p. 69.
3. Per approfondimenti sulla nascita ed evoluzione del genere della povest’ cfr: M. Ferrazzi, La povest’ agli albori della letteratura russa moderna. Meccanismi evolutivi e peculiarità tipologiche, in D. Cavaion, M. Ferrazzi, O. Krivosceieva Motta, Per una storia della povest’ russa. Secc. XVII e XVIII, Padova, Clesp Editrice 1984, pp.57-149.