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"Corpi in frammenti" di Elena Cappellini, Le lettere, Firenze 2013

Tutto il prologo...

...solo il prologo, nient’altro che il prologo

martedì 3 dicembre 2013, di Elena Cappellini

L’UOMO A PEZZI DI EDGAR ALLAN POE

L’anonimo narratore del breve e surreale racconto di Edgar Allan Poe, L’uomo interamente consumato, affascinato dalla straordinaria perfezione fisica del Generale John A. B. C. Smith, interroga amici e conoscenti alla ricerca della vera identità dell’uomo. Pur promettendo grandi rivelazioni, però, ogni volta che uno dei testimoni inizia a raccontare i segreti di cui è a conoscenza, viene puntualmente interrotto dall’arrivo di qualcuno che lo costringe a cambiare argomento. Deciso a svelare il mistero, il narratore si reca personalmente a far visita all’uomo e, in attesa di essere ricevuto, scorge sul pavimento della camera da letto un grosso fardello. Questo strano ammasso indistinto si rivelerà essere il Generale in persona, impegnato in una complessa cerimonia di vestizione nel corso della quale indossa a uno a uno i frammenti protesici del proprio corpo perduti in battaglia. Prima una gamba, poi un braccio, di seguito le spalle, la parrucca, gli occhi: sotto lo sguardo attonito del narratore, e grazie all’indispensabile aiuto di un domestico, l’uomo viene interamente ricostruito fino ad acquisire nuovamente le proprie splendide fattezze.
Nella sua indagine sulle rappresentazioni anatomiche della modernità, Alessandra Violi scorge, dietro l’impianto scopertamente allegorico del racconto, un’acuta analisi della categoria di corpo universale – il generale, appunto, cui il personaggio del “General John Smith” deve probabilmente sia la carica militare sia la designazione generica del no­me – indagata nel suo presunto modello fondativo: un corpo totale, commisurabile ai canoni medici e artistici che attraverso i secoli ne hanno definito l’armonica disposizione delle parti, integrate in una cornice umana di riferimento (1). Ma il significato letterale del sostantivo smithfabbro e dunque artigiano, artefice – che rimanda inequivocabilmente al mito prometeico di Frankenstein sembra già denunciare tutta l’artificiosità di tale modello anatomico.
Nell’impossibilità per i personaggi di descrivere compiutamente la perfezione fisica del Generale, l’ideale di un corpo organico intero e coerente viene svuotato di significato, smontato e denunciato nella sua natura fittizia. Al principio del racconto, la parola del narratore non può abbracciare la straordinaria figura del Generale se non procedendo per accumulo, per elencazione di minuziosi dettagli somatici che invece di unificarne l’immagine finiscono per smontarne il corpo nella suprema eccellenza delle qualità fisiche. Analogamente, i sei testimoni che interpella non possono dar conto del mistero che avvolge le splendide fattezze esteriori dell’uomo se non attraverso frasi spezzate, clichè e puntini di sospensione: nella reiterazione della locuzione «he’s the man that…», nella successione di brandelli discorsivi e proposizioni balbuzienti dalla sintassi disintegrata, il racconto finisce così per mimare il corpo frammentario del Generale. In altre parole, al processo di decostruzione dell’immagine anatomica corrisponde un processo di decostruzione della narrazione, che procede anch’essa per frasi amputate, articolazioni sintattiche disintegrate, producendo frammenti linguistici incompiuti che si giustappongono gli uni agli altri.
Il problema conoscitivo sollevato dalla comparsa del mostro – creatura che attira lo sguardo ma resta inconoscibile perché collocata al di fuori delle abituali categorie – impone di ripensare l’articolazione della veste somatica e del tessuto testuale. Visualizzando il paragone istituito da Roland Barthes tra la suspense narrativa (il piacere di conoscere la fine della storia) e l’atto del denudamento (il piacere dello strip-tease corporeo) (2), in questo racconto è proprio un processo di svestizione a svelare il segreto del corpo e insieme il segreto del testo. Come la bella ninfa in procinto di coricarsi descritta da Swift nell’omonimo poemetto satirico (3), che ogni sera dispone sul comodino i suoi avvenenti attributi corporei rivelandosi solo un ammasso di piaghe purulente, anche il Generale si spoglia delle proprie protesi anatomiche rivelandosi nient’altro che un cumulo di frammenti. È in questo momento che il narratore può riempire il vuoto che circondava l’enigmatica figura, terminare le frasi lasciate a metà dagli altri personaggi e il racconto può trovare il proprio titolo: «Evidente. Chiarissmo. Il Brigadier Generale ad honorem John A. B. C. Smith era veramente l’uomo che era stato interamente consumato» (4), recitano le ultime righe del testo. Una volta rivestito dei suoi attributi, invece, il corpo torna a chiudersi nel suo segreto: attraverso una sorta di strip-tease alla rovescia, pezzo per pezzo, davanti agli occhi del narratore, quel corpo torna a essere quello del generale. L’unità corporea sintatticamente coerente si dimostra solo un artificio e una finzione, come l’unità dei frammenti anatomici del Generale, cuciti insieme ogni mattina secondo un ordine tutto esteriore, convenzionale e insignificante come quello dell’alfabeto (5), da cui John A. B. C. Smith sembra prendere il nome.



Note

1. Cfr. Alessandra Violi, Le cicatrici del testo. L’immaginario anatomico nelle rappresentazioni della modernità, Sestante, Bergamo 1998, pp. 87-95. In una prospettiva analoga, questo racconto è stato precedentemente discusso da Bertrand Rougé, La pratique des corps limites chez Poe. La vérité sur le cas de The Man that was used up, Poétique, n. 60, novembre 1984, pp. 473-88

2. Cfr. Roland Barthes, Le plaisir du texte, Seuil, Paris 1973; trad. it. Il piacere del testo, Einaudi, Torino 1975, p. 10.

3. Jonathan Swift, A Beautiful Young Nymph Going to Bed (1731); trad. it. A una bella e giovane ninfa in procinto di coricarsi, in Opere, Mondadori, Milano 1983.

4. Edgar Allan Poe, The Man that was used up (1840), in The Fall of the House of Usher and Other Writings, Penguin, Harmondsworth 1986; trad. it. di Giorgio Manganelli, L’uomo interamente consumato, in I racconti 1831-1849, con un’Introduzione di Julio Cortazar, Einaudi, Torino 1990, p. 159.

5. Sull’arbitrarietà dell’ordine alfabetico cfr. Roland Barthes, Roland Barthes par Roland Barthes, Seuil, Paris 1970; trad. it. Barthes di Roland Barthes, Einaudi, Torino 1980, pp. 167-68 e Id., Fragments d’un discours amoureux, Seuil, Paris 1977; trad. it. Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi, Torino 2001, p. 9.