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"I cedri del Sertao" di Alberto Sismondini, Le lettere, Firenze 2015
Tutta la premessa...
...solo la premessa, nient’altro che la premessa
mercoledì 13 gennaio 2016, di
PREMESSA
Alle tre Arabiae del mondo classico questo libro affianca e sovrappone un’Arabia brasilica. Salim Miguel, Milton Hatoum, Raduan Nassar, e gli altri autori considerati fanno capo a una cultura racchiusa in uno spazio sorprendentemente ridotto, ovvero quella porzione costiera del Mar di Levante che viene definita geograficamente come Libano. Questa regione è un microcosmo fatto di varie differenti culture e nazionalità a cui fa eco dall’altro capo del mondo un macrocosmo esteso quasi quanto l’Europa, il Brasile. Dalla fine del diciannovesimo secolo migliaia di emigranti libanesi ne hanno percorso le coste, spingendosi successivamente verso gli altipiani dell’interno e le selve pluviali, dedicandosi inizialmente al commercio ambulante, stabilendosi nei luoghi più reconditi di quell’immenso paese. La società brasiliana ha quindi acquisito, oltre ai vari sostrati europei, africani e indios, anche l’Oriente mediterraneo. Il passaporto d’arrivo dei primi immigrati, all’epoca ancora sudditi dell’impero ottomano, ha fatto sì che venissero chiamati Turcos (Turchi). Le capacità di questo gruppo, generalmente già alfabetizzato, hanno da subito permesso di assistere alla nascita di una produzione letteraria in arabo, apprezzata nel paese di origine, ma che in Brasile, escludendo l’ambiente della comunità sirolibanese, non viene quasi avvertita. L’attività imprenditoriale e il conseguente relativo benessere hanno creato le condizioni affinché i figli e i nipoti dei primi immigrati potessero seguire studi superiori universitari, potendo infine accedere a ruoli essenziali della vita sociale brasiliana. Sono relativamente numerosi gli scrittori appartenenti a una comunità che ha raggiunto con i discendenti il numero considerevole di circa sei milioni di individui. Figura dall’alta visibilità sociale in quanto legato al commercio e facente parte di una comunità permeabile, già predisposta a matrimoni interconfessionali e multiculturali, il “Turco” diviene un punto di riferimento della cultura popolare, diventando in breve oggetto di attenzione, sia nelle raccolte umoristiche, che ne sottolineano gli aspetti che noi definiremmo più “levantini”, assieme agli italiani, definiti “Carcamano” (1), o i portoghesi detti “Portuga”, come in un ciclo narrativo che va dai romanzi popolari agli sceneggiati televisivi, fino ad assumere uno status diegetico nei grandi affreschi romanzati di Jorge Amado, dove vengono promossi a protagonisti nel racconto A descoberta da América pelos Turcos.
Le immagini, un po’ sbiadite, del Libano del secondo dopoguerra precedono quelle purtroppo ancora attuali di un terribile conflitto civile e di una pace tuttora fragile, che cerca di risollevare un popolo dal caos e dall’irrazionalità ferina di molteplici “identità assassine”, come le definisce Amin Maalouf. Gli ultimi eventi hanno alimentato una nuova diaspora di varie personalità del mondo dell’informazione e della letteratura, che si sono trasferite in Europa e nel resto del mondo.
Il Libano è stato sempre dipinto dall’Europa come campione della francofonia. La lingua francese vi ha guadagnato un suo spazio in un territorio essenzialmente arabofono ed è stata scelta da diversi autori locali come propria forma espressiva, divenendo al contempo un ponte culturale tra Oriente ed Occidente. I temi del percorso che si intende qui intraprendere sono incentrati su alcune caratteristiche comuni agli autori brasiliani di origine mediorientale, ma considereremo anche le eventuali affinità con testi di scrittori libanesi di espressione francese, strumenti preziosi per un’indagine che ci sarebbe altrimenti preclusa. Poiché tutti i testi letterari sono in rapporto fra loro e tutti sono stati costituiti assorbendo o trasformando altri testi, a vari livelli e in forme più o meno riconoscibili, ogni nuovo libro rappresenta dunque un’ulteriore tessitura di passate citazioni.
Un aspetto caratterizzante che supera il discorso strutturale e che si lega alla questione linguistica ci viene suggerito dalla prospettiva che il mondo moderno e contemporaneo ha molte volte sondato e che le ultime correnti critiche hanno rimesso in gioco. Ci confronteremo con alcuni temi paradigmatici: la solitudine, l’atopia e l’esilio come stato decostruttivo di ogni abituale condotta morale e intellettuale, la necessità di intrecciare male e bene per giungere a una realtà in cui nulla dell’immensa complessità del mondo venga distrutto, l’amore della tradizione e l’ossessione del nuovo, l’ossessione del tempo, l’esperienza dell’infinito e del tutto limitato. L’immagine che sgorga prepotente è quella che Benjamin e Proust nel complesso delle loro opere propongono, osservando il minimo, il diverso, l’altro, divenendo soglia, “corteggiando il rovescio” (2).
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Note
1. In Brasile i commercianti italiani erano considerati poco onesti, per la loro abitudine di “calcare la mano” sulla bilancia. Antônio de Alcântara Machado nelle sue Novelas Paulistanas (José Olympio, Rio de Janeiro 1961), presenta la rima “Caracamano pé de chumbo / calcanhar de frigideira / quem te deu a confiança / de casar com Brasileira?” (Italiano pié di piombo / fondo di padella / chi ti ha dato il coraggio / di sposarti una brasiliana?).
2. Cf. Franco Rella, Miti e figure del moderno. Letteratura, arte e filosofia, Feltrinelli, Milano 2003.