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Ecocidio

Appunti a due testi profetici sulla civilt?† della carne

mercoledì 10 settembre 2003, di Simone Lanza

I due libri qui descritti - Jeremy Rfkin, Beyond Beef, 1992; trad. it. Ecocidio, ascesa e declino della cultura della carne, Milano, 2001; Paul Ariés, Les fils de McDo. La McDonalisation du Monde, 1997; trad. it. I figli di McDonald’s, la globalizzazione dell’hamburger, Bari, 2000 - ci impongono delle riflessioni di critica dei consumi: in che misura vogliamo sostenere il sistema mondiale della carne?
A Praly il prezzo al chilo della carne dal produttore al macellaio non è cambiata affatto negli ultimi 40 anni, nonostante l’inflazione, rimanendo a circa 2 euro al Chilo.
La caduta del prezzo della carne nella valle di Agape - come in tutte le zone agricole marginali del mondo- è il segno locale della svalorizzazione del lavoro e del capitale locale (gli animali sono il capitale per eccellenza nelle campagne) prodotta dalla globalizzazione. I giovani fuggono da questa valle perché qui lavorare non vale più nulla. A questo contribuisce in modo decisivo il prezzo mondiale della carne.

Ecocidio
Uno dei tratti più significativi della globo-colonizzazione consiste nella globalizzazione degli stili vita americani, e tra questi spicca quella che Paul Ariés ha definito la globalizzazione dell’hamburger.
Il libro di Jeremy Rifkin -tradotto in italiano con notevole ritardo- descrive invece i distruttivi processi necessari per produrre tutta la carne che il Nord prevalentemente consuma. Il libro è qualcosa di più della denuncia corroborata da una enorme quantità di dati. E’ una grande analisi ecologica dello stato

attuale del pianeta, una ricostruzione storico-antropologica, una descrizione dell’ascesa nel corso dei secoli, e della modernità in particolare, del complesso bovino, ovvero del sistema di produzione della carne. E’ una appassionata denuncia dell’insostenibilità ambientale e sociale di tale sistema.
Attualmente il pianeta terra è abitato da una popolazione bovina di 1,3 miliardi di capi, il loro peso e la loro massa superano quindi quello della specie umana. Per mantenerli in vita, questi bovini sono stati convertiti a mangiare cereali, nonostante siano una specie erbivora, a partire dal genocidio degli indiani e dallo sterminio dei bisonti nel secolo XIX.
Bovini e altri bestiami d’allevamento consumano il 70% dei cereali prodotti attualmente in Usa. In tutto il mondo la produzione per mangime sta distruggendo gli habitat naturali e alterando pesantemente -si sta discutendo se irreversibilmente o meno- gli ecosistemi. Il 24% della superficie terreste è indirettamente o direttamente occupato da bovini.
L’agricoltura tradizionale viene in tutto il mondo sostituita da quella più redditizia della produzione di cereali. I popoli indigeni perdono le terre e con esse l’identità, i piccoli agricoltori sono indotti o scacciati per fare posto ai bovini. In questo modo le terre producono di più -in termini monetari- ma fanno lavorare meno contadini e contadine, che scappano in città. Inoltre producono per meno persone, coloro che possono comprare la carne. Attualmente milioni di bambini e bambine muoiono di fame e la malnutrizione è la causa principale di tutte le malattie che affliggono i Sud del mondo. Fame e migrazioni contraddistinguono il mondo umano, per fare spazio ai bovini.
Il libro di Rifkin documenta tutto questo con una quantità di dati impressionante e ci mette in guardia contro questa incoscienza occidentale: "la maggior parte della gente non è consapevole degli effetti che l’allevamento intensivo dei bovini ha sull’ecosistema del pianeta e sulle sorti della civiltà. _ L’allevamento bovino e il consumo di carne sono fra le principali minacce al futuro benessere della terra e della popolazione umana."

I complessi bovini indiano e africano
Nel corso della storia, e in spazi geografici diversi, si sono presentati diversi complessi bovini, ovvero diversi rapporti essere umano -bovino, ambiente. Dalle grotte rupestri di Lascaux all’assassinio di Chico Medez, questi complessi bovini hanno avuto conseguenze sociali e ambientali differenti.
Il complesso bovino africano e indiano ha fatto dei bovini delle fonti di rendita alimentare in termini prevalentemente non carnivori. I bovini sono in tali sistemi un capitale e un investimento. Non a caso l’origine indoeuropea del termine capitale deriva proprio da qui (cattle).
Secondo Rifkin, "la transizione della coltura cerealicola mondiale dall’alimentazione umana a quella animale è fra i più significativi cambiamenti intervenuti nei processi di redistribuzione della ricchezza, nel corso della storia scritta." Se i prodotti cereali fossero consumati direttamente dagli umani nutrirebbero cinque volte più persone che convertiti in carne, uova e latte. In termini prettamente economici siamo di fronte a una scelta antieconomica, che solo gli stratagemmi dell’economia politica occidentale riescono a nascondere: ciò che monetariamente si presenta come crescita è in realtà furto ai danni della natura e delle persone.
Il complesso bovino africano e indiano mantengono un giusto equilibrio tra sacro e profano. In India la vacca non entra in competizione con l’essere umano per procurarsi cibo, mentre copre la quasi totalità del fabbisogno lattiero e caseario. Offre forza motrice a oltre 60 milioni di famiglie di piccoli agricoltori, ovvero all’80% della popolazione indiana. Lo sterco è utilizzato come concime, per costruzioni e altri usi domestici. Per Gandhi la vacca era "incarnazione del mondo infraumano", colei che "donava l’abbondanza".(1)
Mentre la civiltà indiana valorizza gli attributi femminili della specie bovina, la cultura ispanica ne ha sempre valorizzato quelli maschili. E’ da questa cultura che deriva l’ingente allevamento di bovini nelle Americhe, dopo la conquista spagnola. L’aumento di importazioni di spezie da un lato, e l’aumento dei salari dall’altro, permise lo sviluppo del consumo di carne in diversi regioni dell’Europa nei secoli XVI e XVII. Simbolo del benessere e misura del gusto il manzo sotto l’impero coloniale inglese allineò le classi sociali verso un obiettivo comune: tra il secolo XVIII e il XIX il peso medio del bovino raddoppiò.

L’ascesa della civiltà della carne
Il Nord America si presentava come uno spazio vuoto, abitato solo da selvaggi. Con l’avanzare della frontiera si allearono proprietari di ferrovie, banchieri, esercito e allevatori sterminarono i bisonti, al punto che nei primi anni ottanta del XIX secolo gli indiani non ne avevano più per i loro riti sacrificali. Tristemente si dedicarono allo sciacallaggio delle ossa, disseminate nelle pianure. Era infatti diventato uno sport la caccia al bisonte anche se la carne veniva poi lasciata marcire: le ossa, "il raccolto bianco", veniva però ben pagato e portato via dalle ferrovie. Cowboys con i longhorn spagnoli e i shortcorn inglesi avevano preso il posto dei bisonti. Milioni di ettari erano adesso sfruttabili.
Ancora oggi milioni di ettari di terreno demaniale sono dati ai moderni cowboys a prezzi inferiori di circa cinque volte il prezzo di mercato. In termini economici significa che gli Usa, patria del liberismo economico, proteggono il settore della carne con incentivi. Inoltre anche l’acqua, usata per il 70% nel settore primario, è prevalentemente usata per il mangime bovino, con costi scaricati sulle finanze pubbliche. Questo permette alle carni americane di essere concorrenziali con quelle del resto del mondo.
Filo spinato e frigorifero sono i più celebri brevetti legati allo sviluppo di questo settore. Persino Henry Ford (2) ricorda che l’idea della catena di montaggio nel settore automobilistico fu mutata da quella che Rifkin definisce "la catena di smontaggio" dei mattatoio, la cui descrizione fa inorridire e basterebbe a far diventare vegetariane/i molti cuori umani.
Negli anni settanta -quelli delle dittature - il Sud America sviluppò l’allevamento bovino e le colture per l’esportazione di mangime, grazie a investimenti diretti di multinazionali, agli aiuti allo sviluppo degli organismi internazionali, alla cooperazione degli stati ricchi. Purtroppo aumentò notevolmente la superficie di foresta tagliata in molti stati. La Fao ha contribuito a propagandare l’importanza delle proteine animali e i programmi di conversione dei cereali.

I malesseri dell’alimentazione carnivora
Se quindi oggi il complesso bovino è tra le principali cause della percentuale più alta di umanità malnutrita che la storia abbia conosciuto, questo tipo di alimentazione non è certamente raccomandabile per i pochi ricchi a cui è rivolta.
Gli effetti di pesticidi, ormoni, farmaci e antibiotici sono molto negativi per l’organismo umano, senza nemmeno contare gli effetti della BSE, di cui solo si parla nell’introduzione all’edizione italiana. Il consumo di carne è responsabile della loro assimilazione. Infatti l’80% degli erbicidi e pesticidi utilizzati negli Usa sono applicati nel mangime per bovini. Se negli ultimi anni il tasso di antibiotici è diminuito, sono aumentati invece i mangimi geneticamente modificati.
Con una vasta documentazione apparsa sulle più autorevoli riviste scientifiche americane e con i dati degli stessi organismi internazionali, Rifkin mostra che le patologie cardiovascolari, tumori, ictus e diabete hanno tra le principali cause proprio nell’eccessiva alimentazione di carne (e nella conseguente obesità). Gli americani consumano mediamente il doppio delle proteine raccomandate dalla stessa Fao.
La Cina nutre il 22% della popolazione mondiale con il 7% della superficie coltivabile del pianeta, mentre le multinazionali americane deforestano il mondo intero e esportano i loro mais transgenici. Chi rispetta maggiormente i diritti umani? Mentre in occidente il 70% delle proteine mangiate è di origine animale, in Cina solo l’89% è vegetale.
Il colonialismo ecologico ha portato i pascoli ai tropici. Infine i bovini sono responsabili di buona parte del riscaldamento globale, emettendo metano e contribuendo in modo considerevole -dato il numero- alla creazione dl gas-serra, che impedisce al calore di disperdersi fuori dall’atmosfera terreste. L’allevamento di bovini è la principale causa delle deforestazioni in America centrale e America Latina. Le mandrie bovine sono responsabili della progressiva deforestazione dell’Africa e delle catene montuose di Nord America e Australia.
L’esportazione della specie bovina in tutto il pianeta è tra le cause principali della desertificazione, per l’alterazione degli ecosistemi e del sistema delle acque. Negli Stati Uniti la maggior fonte di inquinamento delle falde acquifere è data dal materiale organico delle stalle, inquinamento stimato due volte superiore a quello industriale. Il Golfo del Messico è già un mare morto.
In Africa la maggior parte dei problemi sono legati alla sedentarizzazione forzata delle popolazioni nomadi, che tradizionalmente badavano al bestiame. Ciò ha fatto aumentare fino a sei volte la popolazione di bovini nel dopoguerra, ponendo in concorrenza tra loro allevatori e agricoltori, che invece avevano convissuto per millenni in un’ottima interazione tra agricoltura e pastorizia.
Al pari dello sviluppo tecnologico centrato sull’automobile e sul petrolio, lo sviluppo centrato sull’alimentazione bovina non è sostenibile per il pianeta terra. Rifkin paragona la trasformazione delle praterie americane a un’immensa opera pubblica, pari solo allo sviluppo della rete autostradale.
Nel Sud del mondo ancora i popoli indigeni sono costretti ad abbandonare le colture tradizionali per lasciare il posto, con le buone o con le cattive, alle monocolture. L’accusa più grande di Rifkin è quella quindi che le mucche divorano gli uomini: la civiltà della carne sarebbe quindi in ultima analisi una civiltà cannibale. Già Thomas More in Utopia (1516) e Karl Marx nel Kapital (1867) avevano avuto modo di denunciare l’assurdità della proprietà privata della terra (le recinzioni) che per aumentare il "benessere nazionale" scacciavano uomini e donne sostituendovi animali da pascolo, aumentando così la povertà popolare.

Spiritualità
Ma non basta: il paradosso di questa civiltà che muore di malnutrizione al Sud e obesità al Nord, sta cambiando e globalizzando l’idea di bellezza: nel 1894 l’ideale di bellezza femminile -la celebre White Rock Girl - era 1.65 cm per 63 chili, mentre nel 1975 era di 1.75 cm per 53 chili. La gente ha sostituito la propria immagine alla divinità e in omaggio a essa si nega il cibo. La funzione spirituale delle diete, presente in tutte le religioni viene svuotata del suo significato e ridotta a culto dell’individuo. Oggi il corpo ideale femminile che il patriarcato occidentale spettacolarizza sono le modelle anoressiche.
Il male descritto da Rifkin è un male sociale, non individuale, e per tanto superabile. L’ecocidio a cui siamo di fronte ci obbliga a ripensare la nostra spiritualità. Descartes e Bacone avevano gettato le basi teoriche della scienza occidentale agli albori della modernità trattando gli animali come cose. Oggi i bovini vengono al mondo con l’inseminazione artificiale e clonazioni. Crescono con farmaci e ormoni, vengono uccisi in fabbriche. Secondo Rifkin "l’occidente ha perso il senso del sacro e della comunione intima con il resto del creato." Il consumo di carne è segno del potere di alcuni esseri umani su altri e sulla natura, segno di despiritualizzazione.

Il fast food
Le conclusioni del libro di Rifkin alludono a un’altro tema: la globalizzazione dell’hamburger quale modalità di alimentazione. Negli Usa dal 1948 al 1985 la quota di spesa alimentare dedicata a pasti fuori casa è passata dal 24% al 43% e si concentra per metà nel consumo di hamburger.
Alla conquista del mondo di McDonald’s è dedicato il libro di Ariés, che si concentra sugli aspetti antropologici del consumo. Ricchissimo di dati, e acutissimo nelle osservazioni sul campo, il libro è molto più che l’analisi di un’azienda e molto più di un pamphlet contro McDonald’s. Si tratta dell’analisi di uno stile di vita, il fast food, di uno degli aspetti più sacri e più importanti della specie umana:

l’alimentazione. Nelle lingue latine come nel cinese, e in molte altre lingue, la cultura è etimologicamente legata all’attività del coltivare. Ariés riporta l’adagio: "siamo ciò che mangiamo".
Il mondo di Mc Donald’s è uno specchio della attuale globalizzazione: etnicizzando gli spazi è possibile dare l’idea del viaggio pur dando gli stessi alimenti in tutto il globo. E’ la standardizzazione di tutte le dimensioni che viene analizzata: centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratore in tutto il mondo ripercorrono identici movimenti, con identici tempi. Identici sono i tempi e i modi del consumo.
Identici scatteranno i sorrisi e gli sguardi delle hostess.
La penetrazione di McDonald’s nel mondo dei bambini è uno degli obiettivi primari dell’azienda, che si promuove nelle scuole (tramite visite, materiale scolastico per imparare a leggere e scrivere), tramite l’organizzazione di party di compleanno, tutti ovviamente uguali, tramite personaggi dei cartoni animati che si confondono con quelli delle pubblicità (facendo volutamente perdere la distinzione tra essi).
Insomma Ariès non si interroga sulla qualità della Mc-carne, ma sul suo non essere un alimento come gli altri. Mangiare da Mc Donald’s costituisce "una religione della misura e della norma".
Mc-pasto è ideale per i singles, è l’alimentazione della solitudine per eccellenza, l’annullamento della diversità di odori, delle diversità di sapori, delle diversità di ricordi. Mc Donald’s è vettore del comunismo alimentare, un vero e proprio egualitarismo. Mc Drive, Mc Domicilio, Mc Bus, Mc Treno, Mc Aereo: ovunque è possibile mangiare uguale.

Una nuova sfera domestica
I maschi si riconciliano con i loro doveri domestici a cui da secoli si sono sottratti: i padri possono condividere a un costo minimo i doveri culinari, così non esisterà più differenza tra la cucina di casa e quella del ristorante. La Mcdonaldizzazione del focolare poggia su un nuovo padre. È la globalizzazione di una nuova modalità riproduttiva dove la donna non è relegata al dover cucinare, e nemmeno l’uomo: facile da comprare e da scongelare l’hamburger, è il regno della libertà dai doveri domestici. Quella di Ariès è una fine analisi del maschile e del femminile attraverso le Mc-pubblicità.
Mc-Mondo è anche un’altra concezione del pulito. Gli standard di produzione e cucina ubbidiscono alle più recenti normative igieniche. Mc igienista rassicura il consumatore come nessun ristorante si sente obbligato a fare: si chiede Ariès se la standardizzazione non debba inventarsi un rovescio positivo, l’eliminazione delle imperfezioni?
Eppure Mc Donald’s non può esistere senza marketing: risponde infatti a una esigenza non culturale ma infraculturale, legata cioè alla dimensione puramente fisiologica della specie umana, la sua nuda vita, il puro nutrirsi. L’atto del consumo avviene in un puro non-luogo, popolato da mangiatori apatici indifferenti tra loro. Il corpo biologico ignora il corpo desiderante.
L’hamburger rappresenta il primo alimento senza cultura e senza età, in grado di annullare le differenze culinarie del pianeta e distruggere i modi di mangiare. Ottimo per l’individuo senza tempo delle metropoli, potrebbe essere un terribile laboratorio alimentare per il futuro.
Il libro di Ariès mostra anche come il sistema Mc Donald’s si regga su una nuova concezione del lavoro e dell’azienda: lavori occasionali, occupazioni più che professioni. Lavori usa e getta, dove solo in pochi fanno carriera e i più rimangono precari a vita. Mantiene le peggiori rigidità del sistema taylorista, ma introduce la collaborazione dei diversi livelli mettendo in concorrenza i dipendenti tra loro.

Oltre lo sviluppo della carne
Il mondo del fast food ci mette di fronte a un doppio pericolo in cui la globalizzazione ci sta trascinando: da un lato la standardizzazione del gusto, del bello, del mangiare, del coltivare. Dall’altro la distruzione del pianeta. Certo forse inventeranno anche dei cibi per bovini ecologicamente più sostenibili, ma non è forse il caso di interrogarsi radicalmente sul perché questo modo di nutrirsi di carne dell’aristocrazia inglese sia diventato nel giro di pochi secoli il cibo dell’Occidente prima e del mondo intero ora?
Un terzo dei cereali mondiali è destinato ai bovini, e tale quantità sarebbe sufficiente a dare cereali all’intera umanità in modo dignitoso. Nei diritti umani è contemplato il diritto al lavoro (salariato) ma non quello al cibo. Oggi non dovremmo iniziare a considerarla un diritto? Poco più della metà della popolazione mondiale vive oggi in campagna, ma nel giro di 25 anni, se non si cambia modello economico, i due terzi della popolazione mondiale vivrà nelle violente e affamate periferie delle metropoli: per il neoliberismo tre miliardi di persone oggi ritenute""sottosviluppate" perché coltivano la terra con tecniche non industrializzate diventeranno inutili, saranno cioè persone da far consumare con guerre e malattie. E noi cosa possiamo fare?



Note

1 L’analisi economica-antropologica di Rifkin si rifà a quella di Marvin Harris, Cannibali e re, le origini delle culture, Milano, 1979; il libro di Vandana Shiva, Vacche sacre e mucche pazze, il furto delle riserve alimentari globali, Roma, DeriveApprodi, 2000 (Stolen Harvest, the Hijacking of Global Food Supply), a dispetto del titolo italiano, inquadra la questione della carne indiana (e non solo) nell’attuale contesto degli accordi internazionali nel campo della agricoltura.
2 H. Ford, La mia vita e la mia opera, Milano, 1980, p.9, cit. in Rifkin, p.138

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