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04 - Approfondimenti

Lo sguardo immobile di Oriana F.

Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci

mercoledì 1 settembre 2004

Per non incorrere nell’invidia degli dei, l’antica sapienza greca aveva raccomandato agli uomini di coltivare la moderazione e fuggire la superbia. È difficile ammettere che il monito del povero Narciso, affogato nella propria vanità, sia stato ascoltato da Oriana Fallaci, nuova paladina dei valori dell’Occidente.
Recentemente il Corriere della Sera ha pubblicato l’ultima sua fatica - presto riedita visto il grande successo. Una lunga intervista a se stessa.
Le acque della fonte si sono messe a parlare, per interrogare e approvare, oltre a restituire la figura della donna malata.
È con la pubblica ammissione del cancro che Oriana si presenta a Oriana: un morbo che le divora le energie fisiche, ma che al contempo le rafforza la tempra intellettuale, chiamandola all’estremo sforzo del pensiero. Il conflitto che nel mondo oppone le forze della Salute contro quelle della Morte, rivive nella sua persona, con gli attacchi dell’«Alieno» e la fiera resistenza dei suoi «anticorpi intellettuali».
L’ostentazione del dolore si tinge di eroismo non appena l’intervistata rivela la propria diretta responsabilità nella degenerazione della malattia. Fu all’indomani dell’11 settembre che Oriana decise di interrompere le cure per dedicarsi anima e corpo nella battaglia pubblicistica contro la cultura mortifera dell’Oriente islamico.
Il culto del martirio, o almeno la sua esibizione, accomuna malgré elle la scrittrice ai suoi acerrimi nemici, al punto che in entrambi il sacrificio di sé è avvolto in un’aura di santità. Non per caso Oriana si identifica in una madre che ha voluto mettere alla luce il proprio figlio a qualunque costo, rispondendo agli ideali pontefici delle più recenti beatificazioni.
Questo figlio che l’amore materno ha dato al mondo dopo la tragedia newyorkese, è la campagna di odio guerriero scatenata contro il moro infedele e la sua minaccia di invadere l’Occidente.
L’Islam è la quintessenza del Male e sua manifestazione secolare. L’orrore degli sgozzamenti in Iraq sono l’ultima conferma di un’incrinabile convinzione: il Malvagio non si può correggere. O lo si sconfigge o se ne sarà sopraffatti. Un fedele di Maometto è tout court un kamikaze, una moschea è un luogo di reclutamento di Al-Qaida. Ogni islamico è un integralista perché ogni integralista è islamico. In questo gioco manicheo delle identità, Oriana si spinge oltre: tra il Corano e il Mein Kampf non c’è alcuna differenza.
È per questo che oggi spira sull’Occidente lo stesso vento del 1938, quando a Monaco le potenze europee preferirono legittimare Hitler e l’annessione tedesca dei Sudeti, piuttosto che contrastare tempestivamente la minaccia nazista. La volontà di scendere a patti con il Male, nell’illusione di una possibile convivenza, ha corrotto tutte le istituzioni occidentali, un tempo custodi dei principi occidentali.
Gli strali contro la codardia dell’Europa dinanzi al cancro musulmano volgono ormai in una condanna senza appello per un soggetto politico senz’anima, che ha ceduto al nemico, rinunciando alla propria identità. Dopo la Mecca e Medina il terzo luogo santo dell’Islam è Bruxelles, capitale dell’Eurabia, perché l’Europa non esiste visto che ha misconosciuto le proprie radici (ignorando nel dettato costituzionale il riferimento al cristianesimo). Anche gli organismi internazionali sono corrosi dal veleno filoarabo, dall’Onu, congrega di affaristi accondiscendenti col terrorismo, al Tribunale dell’Aja, che si è permesso di mettere in discussione l’inalienabile diritto di Israele alla sicurezza interna. «Penso che a casa propria ciascuno abbia il diritto di costruire tutti i muri che vuole».

Non stupisce allora che l’unico giudizio sostanzialmente assolutorio sia riservato al presidente americano che non ha mai abbassato la guardia contro la minaccia dell’Islam e ha compreso che il terrorismo si combatte con le armi e non coi baci e abbracci invocati dai parolai della sinistra e dai collaborazionisti pacifisti. A la guerre comme à la guerre.
Donna abituata alle frequentazioni con i potenti della terra («posso garantire che cinque casi su dieci si trattava di poveri stronzi»), Oriana non può ignorare la grossolanità di Bush, ma la campagna infamante che tutto il mondo gli ha riversato contro la spingono a un atteggiamento di rispetto. Gli unici seri errori a lui imputabili sono stati la mancata cattura di Bin Laden e l’illusione di esportare nel mondo arabo la democrazia. «Le masse musulmane capiscono la teocrazia e basta».
I dubbi della scrittrice sull’intervento in Iraq non sorgevano infatti dalla debolezza delle ragioni della guerra, ma da una riedizione dell’isolazionismo, ormai abbandonato persino dai nuovi conservatori del partito repubblicano statunitense. «Gli iracheni io li avrei lasciati bollire nel loro brodo».
Le nuovi fasi del conflitto dovranno piuttosto concentrare le forze in un piano di difesa dei propri confini, contrastando le invasioni barbariche dei clandestini infedeli. Onore al merito dunque alla Lega Nord, unico partito che ha compreso la posta in gioco dello scontro tra civiltà.
Il resto della classe politica italiana non merita che condanne senza appello. Nemmeno chiamati per nome, i politici nostrani sono citati per i loro difetti fisici o le preferenze sessuali.
Solo il Cavaliere merita un’attenzione a parte, un J’accuse tutto per lui, dove più aspra è la critica alle pecche dell’uomo, vanesio e ignorante, più morbido e a tratti compiacente, è l’accento sull’operato politico di questo nuovo Napoleone che combatte da solo l’ancien régime della repubblica italiana.
Oriana prende sdegnata le distanze dalla politica interna, come da una partita di calcio dove le due squadre in campo si distinguono soltanto per il colore delle mutande, ma che in fondo sono accomunate dallo stesso obbiettivo: la conservazione del Potere. Tutti uguali, tutti imbroglioni, tutti assetati di poltrone: nemici in pubblico, conviviali nelle segrete stanze di Montecitorio. Musica nota per le orecchie dell’italiano medio, corteggiato fin dal secondo dopoguerra dalle lusinghe antipolitiche dei Giannini e dei Guareschi, e oggi blandito dal qualunquismo della seconda repubblica.
Solo l’ascesa all’iperuranio ha preservato Oriana dalle miserie della politica nostrana. Il culto della Politica, la conoscenza della Storia, la pratica del Giornalismo le impediscono di mescolarsi al pantano di oggi e le suggeriscono la extrema ratio stoica dell’astensione dal voto.
Di fronte alla caduta di tutti gli ideali, delle chimere della gioventù e del sogno europeo oramai in frantumi, solo un mito resta vivo per l’italiano di oggi: l’Italia.
L’Italia dei tricolori appesi alle finestre, l’Italia dei nostri ragazzi impegnati sui fronti di guerra, l’Italia che si vuole diversa dalla sorellastre europee, l’Italia fatta solo per i propri cittadini. Un’Italia chiusa in mille recinti, un’Italia costruita sul “mio” sacro e inviolabile e dove “nostro” è tutt’al più il momento domenicale della parata. Un’Italia di proprietari impauriti e proprio per questo aggressivi. «Per difendermi dai ladri e dagli assassini io chiudo porte e finestre e metto cancelli e chiavistelli. E se qualcuno me lo impedisce prendo il fucile da caccia».

L’immagine dell’italiano pavido e bonario alla Alberto Sordi dovrà scomparire come reliquia del passato per modelli più adeguati al nuovo sentire nazional-popolare.
Nell’appello a un rinnovato amor patrio si racchiude il richiamo alla resistenza dell’Occidente contro il nemico. Non dimentica della storia, Oriana sa che il nazionalismo, prima del sangue, è il miglior fertilizzante per i campi di battaglia.
Oltre ad aver ignorato l’appello di Narciso all’umiltà, la celebrata giornalista ha voltato le spalle anche all’altro insegnamento che, assieme con la sapienza greca, costituisce una delle colonne portanti dell’ethos occidentale.
Beati i costruttori di pace.

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