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06 - Die Fackel e il fiammifero

È l’America (di Bush)

venerdì 12 novembre 2004

È l’America di Bush


di Francesco Giavazzi*, tratto dall’ottimo sito www.lavoce.info.

I democratici pensavano che più persone avessero votato, più voti John Kerry avrebbe ricevuto: non è stato così. Per ogni nuovo elettore che il partito democratico ha convinto a votare - nei centri urbani, tra le minoranza indiane, tra gli studenti delle università - le chiese di varia fede ne hanno trovato un altro, e forse più di uno.

L’importanza del voto religioso

La fede e la religione hanno pesato più dell’Iraq in queste elezioni. Ed è stato un grave errore dei democratici farsi incastrare, in molti Stati, in referendum sul matrimonio tra coppie omosessuali. Le chiese hanno potuto usare questi referendum per convincere i loro fedeli ad andare a votare. E già che si recavano ai seggi, a votare per George W. Bush.
Kerry ha capito troppo tardi l’importanza del voto religioso. E il suo ultimo discorso in Florida, tutto dedicato alla sua fede, tradiva scarsa sincerità. O meglio, ha mostrato un candidato che, contrariamente al suo avversario, fa fatica a dire bugie. Sarà anche stato un chierichetto da bambino, ma il mondo della chiesa gli è evidentemente estraneo - fortunatamente, dirà qualcuno che conosce poco l’America.
Non lo ha aiutato neppure la sua chiesa, nonostante fosse il primo candidato cattolico dai tempi di JFK. Quando ha dovuto dire che i vescovi sbagliano nella loro opposizione all’aborto, è stato ancora una volta sincero, ma ha perduto anche una parte del voto cattolico. Sul matrimonio tra omosessuali ha detto ciò che qualunque “liberal” avrebbe detto: le persone sono libere. Anche qui è stato sincero, ma ha perso una montagna di voti.
Uno dei momenti decisivi della campagna elettorale è stato quando, nel secondo dibattito, Bush ha detto chiaramente che ogni cittadino americano che non sia stato condannato da un tribunale ha diritto a tenere in casa un fucile carico. Chi non ha capito che quella risposta gli ha fatto guadagnare milioni di voti non conosce l’America, oppure pensa che l’America sia Boston e New York.
L’Iraq ha fatto perdere a Bush molti voti: è un errore pensare che il risultato delle elezioni sia una vittoria dei fautori della guerra. Bush ha vinto nonostante la grande opposizione alla sua guerra.
Ma l’abilità dei repubblicani è l’aver saputo mobilitare fede e valori tradizionali là dove la guerra faceva perdere voti.
L’agenda interna
Forse più importante dello stesso risultato presidenziale è lo spostamento a destra del Congresso. La sconfitta di Tom Daschle, senatore del South Dakota e capogruppo dei democratici al Senato, consegna quell’assemblea ai repubblicani.
Persone che conoscono bene George W. Bush dicono che il suo progetto nei prossimi due anni, e cioè da domani alle elezioni di mid-term del 2006, è trasformare l’America, non l’Iraq (dove cercherà un disimpegno costoso ma onorevole), con la promozione dei valori cristiani e conservatori nelle scuole, negli ospedali, trasferendo alle organizzazione religiose finanziate dallo Stato molti compiti di assistenza sociale.
Sbaglia chi pensa che l’obiettivo di Bush sia chiudere i conti con il mondo islamico e riaffermare il primato americano nel mondo. Sbaglia perché continua a guardare all’America con gli occhiali distorti di chi pensa che il resto del mondo conti davvero, anche fuori da Boston e da New York.
L’America rimane un paese chiuso, nel quale il resto del mondo conta solo nella misura in cui influisce sulla sua vita interna, come l’11 settembre. E Bush molto meglio di Kerry rappresenta quell’America.
Quindi un’agenda politica tutta interna, con la differenza che questa volta i repubblicani controllano anche il Senato.

[*Francesco Giavazzi è professore di economia all’Università Bocconi di Milano e visiting professor all’MIT]


L’America religiosa è una minoranza sovrarappresentata


risposta di Luca Flabbi

Condivido pienamente l’analisi di Francesco Giavazzi riguardo il vero motivo che ha fatto vincere Bush: il voto religioso. Voto religioso che si concentra su quelli che vengono eufemisticamente chiamati ’valori morali’, ma in realtà si possono riassumere in due o tre frasi e concetti: “È Dio che ha guidato Bush nella sua guerra in Iraq”, opposizione al matrimonio gay e all’aborto e sostegno alla pena di morte.
Possiamo dire che in questo elettorato le preferenze sono chiaramente lessicografiche: questi tre punti hanno la priorità su tutto, non importa se poi queste stesse persone vedono le loro condizioni economiche peggiorare costantemente a causa delle politiche dell’amministrazione Bush e sono i loro figli e nipoti che muoiono in Iraq.

Su un solo punto non sono d’accordo: ovvero che questa sia la "vera" America opposta all’America di Boston e New York. Non e’ vero: questa è una parte dell’America che esiste, ma è una minoranza che conta tantissimo nelle elezioni a causa dell’anacronistico sistema degli electoral vote: così ad esempio Wyoming e Montana hanno a disposizione tre voti per eleggere il presidente (i grandi elettori) e lo stato di New York solo 31, ovvero un rapporto di 1 a 10 quando la popolazione dello stato di New York è oltre 30 volte tanto.
Oppure basta pensare che per vincere North Dakota e Sud Dakota - per un totale di sei electoral vote - a Bush sono bastati meno di 500mila voti, il che significa 83mila voti per ogni grande elettore quando Kerry ne ha avuto bisogno del doppio per gli electoral vote di New York.
E non è sufficiente dire che Bush ha vinto il voto popolare per contrastare questo argomento: se il sistema fosse diverso gli stati molto popolosi e poco rappresentati, come New York e la California, vedrebbero un’affluenza alle urne molto maggiore.
In conclusione, l’America dell’estremismo religioso esiste eccome e non solo non si riconosce in New York o Boston, ma si guarda bene dal metterci piede (infatti Karl Rove voleva che i delegati della convention repubblicana a New York dormissero su una nave ormeggiata sull’Hudson). Tuttavia il fatto che questa minoranza dell’America condizioni così pesantemente l’agenda politica è solo frutto di un sistema elettorale per le presidenziali anacronistico. Questo non implica solo che i repubblicani abbiano vinto, ma anche che siano riusciti a farcela con un candidato così estremista come George W. Bush.

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