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03 - Traduzioni. Letterature

Malcolm Pasley - Rilke e Kafka # 1/2

mercoledì 30 marzo 2005, di Marco Federici Solari Chianese

Pubblichiamo la prima parte della traduzione di un saggio di Malcolm Pasley (la seconda è qui), uno dei massimi "kafkologi" europei, recentemente scomparso, editore e curatore della nuova edizione critica dell’opera di Kafka, sui rapporti tra i due giganti praghesi di inizio novecento.

Rilke e Kafka sono stati spesso messi a confronto. Il paragone è in effetti giustificato: si pensi al significato della comune provenienza praghese dal punto di vista sociologico e linguistico, o ai pesanti traumi subiti da entrambe durante l’infanzia. Si può certo discutere come si possa meglio definire quello stato di alienazione che per entrambe divenne un’esperienza centrale: in ogni caso lo hanno concepito in maniera simile. E entrambe hanno tentato di superare questa alienazione attraverso la letteratura.

Si raggiunge però un terreno più saldo per la comparazione tra Rilke e Kafka solo quando si risponde alla domanda circa la reale natura del loro rapporto. Vorrei in ciò che segue sostenere e dimostrare che l’opera di Kafka ha influenzato direttamente Rilke.

Ora, poiché la critica rilkiana ha da tempo smaltito la sua sbornia agiografica, non si può più ignorare che Rilke fosse particolarmente sensibile agli influssi letterari. Finché non si considera mero plagio prendere un modello come stimolo per le proprie creazioni non si ha bisogno di nessuna scusante per segnalare simili influssi. Rilke stesso ha stimato ricerche di questo tipo: “La questione degli ‘influssi’ è naturalmente possibile e legittima” - scrive il 16 aprile 1924 a Alfred Schaer, “ed esistono casi in cui la risposta porta con sé le rivelazioni più sorprendenti.” Egli non dichiara mai esplicitamente di essere stato influenzato da Kafka, ma, per ciò che riguardava gli influssi, Rilke non era mai ugualmente esplicito. Mentre, per esempio, confessava apertamente quanto fosse debitore all’arte di Hölderlin (“il suo influsso su di me è grande e possente” come scrive a Hellingrath il 24 luglio 1914), prendeva invece le distanze dall’evidente influenza di Klopstock.

“Non gloriatevi, voi che giudicate, dell’ormai inutile
Tortura e dei ferri che più non stringono la nuca.
Nessuno s’è elevato, nessun cuore - , perché una voluta
Smorfia di pietà vi deforma in aspetto di dolcezza.
[...] Nel puro, nell’alto cuore,
follemente aperto, in altro modo entrerebbe il dio
della vera pietà. Potente verrebbe, afferrando
e raggiando intorno a sé, come chi è divino [...]”(1)

In questo passo (Sonetti a Orfeo, II ix) Rilke avverte che l’abbattimento di un ordinamento tirannico non è sempre da salutare come un progresso. Se lo spietato abuso del potere è sostituito solo da una pietà posticcia, se la tortura e la ghigliottina lasciano il posto solamente a un umanitarismo inautentico, niente è guadagnato. Secondo Rilke l’agognato “dio della vera pietà” non appare in nessun caso con l’abito di una forzata dolcezza, ma domina grandiosamente e imperiosamente i nostri cuori. Il ricordo va qui immediatamente al racconto Nella colonia penale di Kafka. Lo stesso pensiero che Rilke esprime in questo sonetto - che nessuna superficiale realizzazione può dissimulare ‘l’elevarsi’ del cuore umano - attraversa e informa di sé Nella colonia penale, in cui un sistema giuridico basato sulla tortura viene sostituito da un nuovo più clemente ordinamento. Come appare in Kafka sotto il ‘clemente’ governo del nuovo comandante la ‘colonia penale’, perché comunque ciò essa rimane e deve rimanere? “Le signore del comandante, prima che quest’uomo [ il condannato] venisse portato via [per l’esecuzione], l’hanno rimpinzato di dolciumi [...]”. A questo corrisponde esattamente la “voluta smorfia di pietà” del sonetto di Rilke. La crudele macchina di esecuzione del vecchio comandante in Nella colonia penale sembra, certo, da un punto di vista razionale e morale, un’“inutile tortura”, eppure lo zuccheroso “clemente ordinamento” del nuovo capitano non offre un’alternativa soddisfacente. Il sonetto di Rilke e il racconto di Kafka sono vicinissimi sia tematicamente che dal punto di vista delle immagini. Che si tratti forse di qualcosa di più di un affascinante parallelo?

Il 17 febbraio 1922 Rilke scriveva a Kurt Wolff: “Non ho mai letto una riga di questo autore [Kafka] che non mi abbia colpito e stupito nella maniera più sorprendente[...]. Mi segnali per favore sempre prima di ogni altra cosa tutto ciò che pubblicherete di Franz Kafka. Non sono, glielo posso assicurare, il suo peggior lettore. (Quanto è bella, tra l’altro, questa edizione dei “Racconti brevi”!)”(2). L’occasione per queste osservazioni venne dalla raccolta Un medico di campagna. Racconti brevi(1919) di Kafka, libro che Rilke aveva sottomano dall’inizio del mese. Wolff glielo aveva mandato il 30 gennaio da Monaco a Muzot. Secondo la lettera di ringraziamento del 17 febbraio appena citata Rilke ha letto il libro tutto d’un fiato il giorno prima, quindi il 16: “Mi sono concesso per ora solo il libro di Kafka, ieri sera, nel mezzo di altre occupazioni.” Proprio il 16 Febbraio è la data più probabile per la stesura del sonetto Non gloriatevi, voi che giudicate.... L’ipotesi di un influsso diretto sembra imporsi in questo caso ancora di più, anche perché questo componimento si distacca smaccatamente dagli altri sonetti del ciclo di Orfeo.

Come è possibile, però, che il sonetto di Rilke che dovrebbe essere stato scritto sotto l’impressione diretta dei racconti di Un medico di campagna ricorda il precedente racconto di Kafka Nella colonia penale? La stranezza è solo apparente. In primo luogo perché la tematica di Nella colonia penale è ripresa nella raccolta Un medico di campagna (e cioè nel racconto In galleria) e in secondo luogo perché Rilke aveva, come vedremo, tutte le ragioni a pensare nella sua lettura di Kafka soprattutto a Nella colonia penale.

Cosa sappiamo innanzitutto del precedente interesse di Rilke per Kafka? Dalla lettera del 17 febbraio 1922 a Wolff si desume che avesse letto con attenzione e ammirazione qualcosa di Kafka già prima dell’uscita della raccolta Un medico di campagna. La metamorfosi gli era sicuramente nota già nell’ottobre del 1915 tramite la rivista Weisse Blättern (che l’anno precedente aveva pubblicato il suo saggio Marionette). Ci si può anche chiedere se questo racconto non abbia avuto un influsso sulla sorprendente poesia La Morte, scritta il 9 novembre 1915. La pittrice Lou Albert-Lasard dà testimonianza della grande impressione che La metamorfosi aveva fatto su Rilke: egli gliela avrebbe letta ad alta voce(3), probabilmente nel novembre 1915. Una lettera da poco pubblicata(4) di Kafka a Felice del 9 dicembre 1916(5) conferma la conoscenza rilkiana de La metamorfosi e aggiunge inoltre nuove prove. Kafka scrive: “A Praga mi sono anche ricordato delle parole di Rilke. Dopo alcune frasi molto cordiali sul Fochista, osservò che né La metamorfosiNella colonia penale raggiungono lo sviluppo logico che ha quello. L’osservazione non è subito comprensibile, ma è avveduta.” Da questa lettera si può concludere non solo che Rilke già allora conosceva molto bene l’opera di Kafka, ma anche, contrariamente a come si è a lungo pensato, che aveva incontrato personalmente Kafka. La lettera si riferisce alla lettura pubblica de Nella colonia penale (pubblicata nel 1919) che Kafka aveva tenuto a Monaco il 10 novembre 1916. Essa aveva avuto luogo all’interno di una serie di “Serate di letteratura moderna” nella Galleria Goltz. Evidentemente Rilke si trovava tra il pubblico ed è poi andato a parlare con Kafka. Questo significa anche che Nella colonia penale deve essere considerata l’esperienza più durevole, perché la più personale, che Rilke abbia avuto dell’opera di Kafka. Gli editori delle Lettere a Felice non ammettono questo incontro tra Rilke e Kafka, ma il testo della lettera sopraccitata (soprattutto l’espressione “osservò”) non sembra lasciare spazio a conclusioni differenti. Si consideri anche che Rilke, che in quel periodo risiedeva a Monaco, si era vivamente interessato alle “Serate di letteratura moderna” della Galleria Goltz: il 27 ottobre era andato lì a sentire Theodor Däubler e pensava di tornarci il 17 novembre (oltre a Else Laser-Schüler, J.R. Becher, Georg Grosz e Wieland Herzfelde, doveva leggere di nuovo Däubler). Alla fine, però, non andò a quell’ultima serata, poiché le “parole mostruose simili a scorie” di Däubler lo avevano già abbastanza oppresso(6). Nel frattempo la serata di Kafka del 10 avrebbe dovuto sembrargli particolarmente invitante anche come antidoto a quelle “parole mostruose simili a scorie”.

Sia per ragioni interiori che esteriori non è quindi difficile accettare che il Sonetto a Orfeo II ix sia stato scritto sotto l’influsso di Kafka. Ciò ci porta alla più vasta e importante questione, se l’arte narrativa di Kafka non abbia influito anche sul compimento delle Elegie Duinesi.

Di paralleli se ne sono trovati anche troppi e proprio quelle elegie che vennero scritte nella seconda settimana del febbraio 1922, hanno fatto pensare a Kafka ai lettori più disparati. La decima elegia ricorda ad esempio Kafka al poeta Erich Fried(7) ; per Eva Cassirer-Solmitz(8) accanto alla decima anche la quinta offre delle analogie con Kafka; Walter H. Sokel(9) avrebbe trovato un legame tra la quinta e l’ottava elegia e il racconto Relazione per una accademia. Più profondamente imparentati sono, però, la quinta elegia di Rilke e il racconto di Kafka In galleria.
Entrambe le opere trattano di difficili prove ed esibizioni pubbliche che non soddisfano nonostante l’estrema abilità degli esecutori. In tutti e due i casi l’azione è dominata da un impulso tirannico e meccanico. Un “mai placato volere” spinge i ‘saltimbanques’ o gli acrobati di Rilke: si impossessa delle figure statiche, come le conosciamo dai quadri di Picasso(10), e “li torce, li piega, li intreccia, li tiene oscillanti, li lancia e li riafferra” ; “come da un’aria oleosa, più liscia, precipitano [...]”. Questa forza anonima che li spinge, concedendo appena una “mezza pausa” - originariamente era definita “mai interrotto volere” - , è spietata. Allo stesso modo la cavallerizza di Kafka nella visionaria panoramica del primo paragrafo viene “incalzata senza tregua per mesi e mesi tutt’intorno al maneggio su un cavallo malfermo, di fronte a un pubblico instancabile, da uno spietato direttore armato di frusta [...] fra lo strepito incessante dell’orchestra e dei ventilatori [...]”. Per mettere in evidenza il parallelismo citiamo due commenti indipendenti l’uno dall’altro. Afferma Romano Guardini sull’elegia di Rilke: “Il tutto - gli acrobati, l’aria e il volere che ci sta dietro - appare solo come una macchina. L’aria prepara la ben oliata condizione in cui scorrono le assi; gli acrobati sono le parti che girano della macchina, e così via.”(11). Scrive Karl Pestalozzi del racconto di Kafka: “I ventilatori e i magli a vapore, questo si dimostra essere lo scrosciar delle mani, alludono alla meccanicità dell’avvenimento. Il pubblico e il direttore, che sembrano incalzare la cavallerizza solo perché lo vogliono, sono in realtà solamente parti di questa macchina.”(12)

Il racconto di Kafka presenta nel suo primo paragrafo questa immagine di un meccanismo spietato come possibile e terribile verità. Il secondo paragrafo, di contro, descrive l’esibizione come essa appare realmente agli spettatori. Qui la cavallerizza entra in scena come “una bella signora bianco e rossa”; alla fine il direttore la solleva dal cavallo tremante e la bacia su tutte e due le guance, “mentre lei stessa, da lui sorretta, sollevandosi sulla punta dei piedi entro un alone di polvere, con le braccia distese e con la testolina riversa all’indietro, vuol estendere la propria felicità all’intero circo[...]”. La felicità apparente di questa scena (“la felicità agghindata” se vogliamo mettere in evidenza anche l’analogia con la decima elegia) ha un parallelo nella quinta elegia: espressa metaforicamente come pistillo circondato dalle “foglie” del pubblico e colpito “dalla fioritura del proprio polline” l’esibizione dei saltimbanchi riluce “nella fragile scorza di un lieve apparente sorriso, del suo disinganno”. Il sorriso degli acrobati occulta un profondo, “mai cosciente” disagio. Il motivo di uno splendore esteriore, che contemporaneamente simula la felicità e nasconde il dolore, è reso ancora più chiaramente nella figura della ragazzina della troupe. Forse, così viene detto, le frange del suo vestito provano la felicità di cui lei sente l’assenza; ella è la “amorosa [...] su cui le gioie più rapinose passarono mute”, colei che fu “sempre altrimenti, sull’oscillante equilibrio / di ogni bilancia, frutto dell’indifferenza / messo al mercato, apertamente tra le spalle.” Ci ricorda con forza la cavallerizza di Kafka quando sul cavallo tremante viene data in pasto al pubblico.
In galleria potrebbe quindi aver veramente stimolato l’immaginazione di Rilke, e questo in due differenti direzioni. Da una parte il “faticoso nessundove” (verso 81), in cui gli artisti vengono battuti e percossi dalla spietata forza, ci riporta al primo paragrafo di Kafka - alla “macilenta” cavallerizza -; dall’altra il suo “vuoto fintroppo” (verso 84) sembra rendere la routine falsamente felice della bella signora del secondo paragrafo.



Note

1 - Le traduzioni dei sonetti e delle elegie sono quelle di Franco Rella (rispettivamente Feltrinelli 1991 e Rizzoli 1994), a volte lievemente modificate da me. (N.d.T.)

2 - Kurt Wolff, Briefwechsel eines Verlegers 1911-1963, hrsg von B. Zeller und E. Otten, Frankfurt a. M. 1966, p.152.

3 - Lou Albert-Lasard, Wege mit Rilke, Frankfurt a. M. 1952, p.43.

4 - Questo saggio risale al 1968. Le lettere di Kafka a Felice furono date alla pubblicazione dopo molte reticenze e dimostrando un notevole senso degli affari da Felice Bauer solo nel 1967. (N.d.T.)

5 - Franz Kafka, Lettere a Felice 1912-1917, Milano 1972 p.792. Gli editori datano la lettera 7 dicembre.

6 - Cfr. le lettere del 2/11/1916 e del 18/11/1916 a Katharina Kippenberg e la lettera del 13/11/1916 al barone di Münchhausen.

7 - Erich Fried, Rilke: Täuschung, Enttäuschung, Sprache in technischen Zeitalter 17/18 (1966), p.19.

8 - Eva Cassirer-Solmitz, Rainer Maria Rilke, Heidelberg 1957, p.44 s.

9 - Walter H. Sokel, Franz Kafka. Tragik und Ironie, München/Wien 1964, p.342 s.

10 - Ricordiamo che tra le fonti di ispirazione della quinta elegia vi è il quadro di Ricasso “La famiglia dei saltimbanchi” (1905) che Rilke aveva potuto ammirare nel salotto di Hertha Koenig, a cui l’elegia è dedicata. (N.d.T.)

11 - Romano Guardini, Rainer Maria Rilke. Deutung des Daseins, München 1953, p.189. (trad. it. Brescia 1974).

12 - Karl Pestalozzi, Nachprüfung einer Vorliebe, Akzente 13 (1966), Heft 4, p. 335.

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