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La schivata: Inshallah Krimò!

Su e pensando a La schivata, di Abdellatif Kechiche

giovedì 14 luglio 2005, di S. Sadie

Questa mattina passeggio per Milano e sono felice. Mi ritrovo con sorpresa a dire tra me "la mia Milano", benché ci viva da solo un anno, con la stessa ingenua benevolenza con cui il mio sguardo ha in passato abbracciato "la mia Oxford" e "la mia Londra" (Londra, appunto. Scherzo dicendo "è come mia sorella. Posso criticarla io ma nessuno la tocchi". E giovedì scorso non c’è stato di che scherzare). Ho infilato i vestiti quasi sopra il pigiama (è luglio e sono 20 gradi, forse per questo sorrido così?) e mi sono trovata a trotterellare lungo il Naviglio e poi su Via Vigevano dove in pochi metri quadrati ho incrociato almeno 7 o 8 differenze di lingua, colori, vestiti tradizionali. I centri di telefonia erano pieni nonostante il mattino sonnacchioso e il macellaio era ovviamente halal. Ed è giusto così. Non è etno-qualunquismo buonista. È la realtà, nella sua semplice espressione. Così mi tornano in mente le due righe che volevo buttare giù su quel film che mi ero persa perché rimbalzata dal fidanzato sbagliato (perché l’uomo sbagliato ti preclude il film giusto? Così mi perdo un sacco di bei film ma mai un’occasione di essere bistrattata) e poi recuperato. Un film in cui i ragazzi si salutavano dicendo Inshallah.

La schivata è la storia di un innamoramento adolescenziale e dei capricci della lingua. Nel cuore di un quartiere francese che è un grande amalgama di lingue differenti, e dove ovviamente è l’arabo che la fa da padrona, i ragazzini del film aspirano le h con una voluttà tutta oltre-il-mediterraneo. Ma tutti i loro nomi oltre-il-mediterraneo sono accentati all’insù. Sono giovanissimi e le loro facce ingenue ispirano una tenerezza infinita, nonostante parlino con esperienza di carceri, sesso, droga e polizia, e le loro piccole bocche conoscano solo slang e turpiloquio. Oltre che ciao, e inshallah. Quest’ultimo tanto per intercalare quanto per congedarsi. Ciaò invece solo quando ci si avvia verso il proprio appartamento non proprio elegante da madri stanche e un po’ sole. A scuola però sono costretti a imparare Marivaux. Così Krimo e Lydia, Frida e Magalie, Nanou e Rachid, Zina e Fathi scivolano di continuo tra l’eloquio pomposo (che nella vanitosissima protagonista suscita un incontenibile impulso di sbattere le palpebre e il ventaglio)

Leggendo Marivaux

del Gioco del caso e dell’amore e il loro modo di azzuffarsi e insultarsi con tutta la fantasia di cui è capace un adolescente proletario e annoiato con mille bacini linguistici a disposizione.
Magalie ha lasciato Krimo ma lo ama ancora (si capisce perché: è bellissimo e ha occhi neri enormi), Krimo si è innamorato dell’amica d’infanzia biondina (si capisce perché. Ha la bocca imbronciata e il nasino da principessa. I capelli sottilissimi e la pelle bianca e rosa. Gli occhi verdi enormi) da quando l’ha vista aggirarsi nel quartiere con l’abito di scena, tutta smorfie e merletti, irresistibile. Lei si lascia inseguire e continua a schivarlo. Intorno un coro di adolescenti meno perfetti, molto meno belli, commenta e vive di riflesso. Nuove lotte e nuove alleanze si formano. Il compagno di Krimo con gli occhi a mandorla non capisce come una così piatta possa avergli fatto perdere la testa, il grande amico goffo e possessivo (innamorato di Krimo anche lui? se anche fosse di certo non lo capirebbe) è terrorizzato dall’idea che Krimo per amore si butti nel teatro.
Inconcepibile, per un rissoso adolescente col padre nel braccio 5 (dove "sta per arrivare il marito di mia cognata", annuncia felice e cortese un amichetto alla madre di Krimo) mettersi a declamare Marivaux. Così interviene, minaccia un’amica di Lydia e le sequestra il cellulare. Amica che si chiama Frida ed è combattuta tra la fedeltà femminile e fraterna ed un’invidia istintiva (Frida è più scura, pelosa, massiccia e rissosa dell’incantevole attrice in erba) che la farebbe solidarizzare con Magalie. Ma spinta dall’ancor più massiccia Zina si stringe attorno all’amica storica e tutte insieme vanno all’appuntamento della verità, quello in cui Lydia sarà finalmente costretta a dare una risposta a Krimo ("ti vuoi mettere con me?" "ci devo pensare") e in cui Frida riavrà il suo cellulare. Su una macchina rubata si ritrovano a transitare tutti e cinque, tra spintoni e ricatti: Fathi vuole solo Lydia e Krimo, le due ragazze non vogliono saperne di lasciarla sola. Finisce che i tre cortigiani si stipano nel retro di un furgone a fumare erba, senza perdere d’occhio una sola mossa di Romeo e Giulietta che si stringono imbarazzati ognuno nel proprio mutismo dentro l’auto. Quando la risposta sta per arrivare, quando l’eroina finalmente scoppia in lacrime, arriva la polizia. Grossi (di nuovo si vede all’improvviso quanto sono giovani tutti i protagonisti), caucasici e ottusamente prevenuti, poliziotti e poliziotta hanno il solo scopo di rovinare l’incanto, il fragilissimo incanto sui generis costruito lungo tutto il film.
Non si sa cosa avrebbe risposto.
Dissolvenza, e poi si apre il sipario. La recita è stata finalmente messa in scena, sul palco accanto a Lydia è tornato l’attore originario a cui Krimo aveva soffiato il posto solo per stare accanto alla sua bella, la commedia è un successo, i bimbi più piccoli decorano il palcoscenico a modo loro strappando risate commosse alle famiglie riunite, per l’occasione, nella mensa della scuola. E nei corridoi del dietro-le-quinte si formano ancora nuove alleanze. Frida e Magalie sono diventate amiche, Magalie ha un nuovo ragazzo che tutte sbirciano attraverso il sipario chiuso e presenta un potenziale flirt a Frida. Fathi fa battutacce con gli amici, determinato a non farsi contaminare dalla grazia del teatro e dei costumi. Krimo passa da quelle parti, butta un occhio e se ne va. Torna a casa, in camera sua, sotto la cui finestra passa subito dopo la messa in scena Lydia.
Lui non risponde, lei se ne va.
Si ritroveranno o forse no, chissà. Se dio lo vuole, inshallah.

Perché in questa mattinata milanese mi è tornato in mente L’esquive? Perché hanno fatto saltare la metropolitana di Londra, perché prima in Via Vigevano sembravano tutti sereni, perché è passata una ragazza mediorientale con una bellissima increspatura delle labbra, perché una coppia centramericana camminava abbracciata teneramente e serenamente vergine d’Italia, vergine della rigidità con cui qualcuno vorrebbe ora vedere e mostrare solo bruttezza dal fatto che siamo terra di passaggio e non proprietari terrieri, perché le rumorose cubane della porta accanto schiamazzano e cucinano qualcosa dal profumo invitante, perché come sempre the cats will know, e i miei gatti si sono già infilati a casa loro.


Note:

La schivata, di Abdellatif Kechiche
The cats will know, di Cesare Pavese
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Radio Padania: è tutta colpa dell’immigrazione

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