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Montale, Eliot, Due destini

L’ultimo Montale e il dramatic verse eliotiano 2/2

giovedì 25 gennaio 2007, di Lorenzo Flabbi

La prima parte di questo studio è qui.

Una volta illustrate le ragioni contenutistiche del legame che univa Montale a Cocktail Party, avremo più facilità a illuminare quelle formali, rivelatrici di una corrispondenza stratificata di interessi.
Sappiamo che è possibile tracciare percorsi conclusivi partendo da molti dei testi del quinto Montale, in cui la componente metapoetica è tutt’altro che epifenomenica. Un filo sarà dipanabile anche dalla conclusione provvisoria che concentra tutte le considerazioni fatte finora: quel brevissimo testo pubblicato nel Quaderno di quattro anni dal titolo Due destini:

Celia fu resa scheletro dalle termiti,
Clizia fu consumata dal suo Dio
ch’era lei stessa. Senza saperlo seppero
ciò che quasi nessuno dice vita.

Scritta nel luglio del 1973, questa poesia ha la preziosa peculiarità di contenere l’unico riferimento diretto (22) all’opera di Eliot in tutto l’ampio liber unicum dell’italiano.
Da un punto di vista squisitamente formale sono identificabili nel componimento tre possibili assi, nei quali ogni singolo verso si lega a un altro, sempre differente. Innanzitutto i primi due versi sono uniti tra loro concettualmente, ciascuno introducendo separatamente i due personaggi il cui destino comune è esposto nei successivi (coppie 1-2 e 3-4, ma quest’ultima è saldata da un legame meno simmetrico, per via di quel forte enjambement). Al v. 4, in quel “ciò che quasi nessuno dice vita”, si legge l’atto di devozione di Clizia come suggello finale delle apparizioni dell’angelo visitatore. La correlazione tra i miti greci della rinascita sacrificale e il processo cristiano della redenzione, caratteristica di tutto il teatro eliotiano, non poteva che essere il trait d’union con il mito di Clizia in Montale, Clizia/girasole, Clizia sacrificale (23) e, appunto, Visiting Angel.
Poi l’elemento più debole e meno probante: i quattro versi iniziano tutti con la lettera c, così da formare un tautogramma verticale debole, per l’occhio. Il suono è però dolce nel primo (una s se il nome Celia viene pronunciato all’inglese) e nell’ultimo, e duro nei due versi mediani (coppie 1-4 e 2-3); questo schema si contrappone infine a quello metrico, secondo una struttura a doppio binario caratteristica anche del primo Montale (24) : se i versi pari sono canonici endecasillabi a maiori, il primo e il terzo sono invece dodecasillabi sdruccioli (coppie 1-3 e 2-4 esaurendo così le possibili combinazioni). Una struttura metrica insolita, messa in risalto dalla coincidenza della scansione nel primo pseudoemistichio (con accenti di prima e sesta posizione) di tutti e quattro i versi. Va detto inoltre che questa struttura di tredici sillabe, con accenti di prima, sesta e undicesima posizione (seguendo per tèrmiti la corretta lezione proparossitona), si ritrova riprodotta nel primo degli unici altri due versi (25) che iniziano con la parola Celia in tutto il corpus montaliano: “Célia la filippìna ha telefonàto”; mentre l’altro, “Célia cerchi di intèndere... Di là dal fìlo,” (spezzato da uno scalino dopo i puntini di sospensione) posticipa l’ultimo accento ma coincide nel numero di sillabe. Si ricorda, naturalmente, che in questo caso la Celia in questione è Celia De Rica, che fu governante per qualche tempo in casa di Montale e Drusilla Tanzi: è certamente difficile avvallare l’ipotesi di un’implicazione a livello conscio di questa coincidenza onomastica (26) , ma le caratteristiche prosodiche di questo gruppo di versi, nella loro coincidente eccentricità, restano interessanti e ben definibili: tre accenti, due al di qua, uno al di là della forte cesura mediana, in uno spazio metrico che ruota attorno alla canonica dimensione endecasillabica senza necessariamente aderirvici appieno. Vale la pena di riproporre i passaggi pertinenti della descrizione che Eliot dava del suo dramatic verse, applicabile anche a questi di pugno montaliano senza alcuna sbavatura: “vario nella durata e nel numero delle sillabe, con una cesura e tre accenti [...]. Cesura e accenti possono cadere variamente, quasi in qualsiasi punto del verso[...] ferma restando l’unica regola che uno degli accenti cada da una parte della cesura, e che dall’altra cadano gli altri due”. E sarà anche da notare la serie allitterante lunghissima al terzo verso, “[...] stessa. Senza saperlo seppero”, ricordando quelle che erano tra le caratteristiche principali del verso di Assassinio nella cattedrale: un parco impiego del giambo e proprio la frequenza dell’allitterazione.
Possiamo finalmente riprendere per intero il ricordo montaliano da cui siamo partiti, leggendolo, si spera, con qualche indicazione in più:

preferisco affidarmi alla memoria e vedere ciò che di lui resta vivo in me. Anzitutto la musica. Una musica che l’orecchio percepisce, ma l’occhio difficilmente può controllare sulla pagina benché si avverta che il poeta non è andato a capo soltanto quando il trillare della macchina per scrivere lo informava che non c’era più spazio. Verso libero, se vogliamo, anche se non di rado vi affiora il cosiddetto, e tradizionale, pentametro giambico. Una musica bassa, apparentemente prosastica, parlata e non cantata” (27) .

E questa prosa apparente, questa musica bassa che cangia il canto in conversazione captando i ritmi più sottili dell’oralità, come si è visto appartengono a pieno titolo anche all’ultima fluviale produzione, improntata a un soffuso sprung rhythm, dello stesso Montale.



Note

La numerazione delle note prosegue da qui.

22 - O perlomeno l’unico decriptabile in questo senso senza equivoci di sorta. La cosa non sorprende poi tanto, dal momento che oramai da tempo sappiamo quanto la maniera dell’ultimo Montale fosse quella di riportare alla luce le sottotrame dell’intertesto, e in particolare quelle inerenti alcuni suoi vecchi sodali, in primis Valéry e lo stesso Eliot; autori un tempo presenti a livello di strutture profonde, vengono poi tirati in causa con riferimenti inequivocabili, altra faccia di un fenomeno che investe tutta l’ultima fase montaliana e che si ripercuote anche sul cambio di registro parodico.
23 - Questa componente è ben illustrata dal seguente passaggio di Monique Lojkine-Morelec: “Per ciò che riguarda la condizione di Celia cito un passo esemplificante dalla corposa bibliografia critica a disposizione: “la sua morte, privata di ogni splendore personale, è per pura devozione alla causa degli altri. Muore portando il conforto della medicina del corpo e quello della consolazione dell’anima a degli appestati. Infermiera e missionaria al contempo, Celia è ciò che non ha voluto essere Harry Monchensey (uno dei protagonisti di Riunione di famiglia), ancora troppo preoccupato della propria angoscia per pensare a quella degli altri, e ciò che non è ancora il penitente di East Cocker”, in M. LOJKINE-MORELEC, T.S. Eliot - Essai sur la genèse d’une écriture, Klinksieck, publication de la Sorbonne Nouvelle, Paris 1985, p. 62 [trad. mia].
24 - Si veda ad esempio la sovrapposizione tra registro poetico e registro prosastico in Arsenio, per la quale Guido Guglielmi para di “ritmo versale”, in G.GUGLIELMI, Montale, ‘Arsenio’, e la linea allegorico-dantesca, in Montale e il canone poetico del Novecento, a cura di Maria Antonietta Grignani e Romano Luperini, Laterza, Bari 1998, pagg. 369-381.
25 - Entrambi nell’undicesimo componimento della seconda serie di Xenia, “Riemersa da un’infinità di tempo...”.
26 - Maria Antonietta Grignani la interpreta almeno come una volontà di Montale di “illudere e deludere l’agnizione di lettura confondendo talora ad hoc il vero biografico e quello letterario”, in M.A. GRIGNANI, Prologhi ed epiloghi. Sulla poesia di Eugenio Montale, Longo editore, Ravenna 1987, pp. 22-23.
27 - E. MONTALE, Ricordo di T.S. Eliot, cit., SM II, p. 2692-93.

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