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03 - Traduzioni - Letterature

Peter Bichsel - L’inventore

Un racconto da ’Kindergeschichten’

venerdì 25 luglio 2003, di Paola Del Zoppo

La traduzione di Paola Del Zoppo del racconto "Der Erfinder" di Peter Bichsel. Il testo è tratto da Kindergeschichten (link in tedesco), Neuwied, Suhrkamp, 1997, una raccolta di sette storie per bambini che, sotto un’apparente semplicità formale, nasconde complesse tensioni linguistiche. Cliccando qui trovate un interessante studio di Liviana Cerullo che evidenzia come "rasentando solo apparentemente un sornione atteggiamento di minimalismo, Bichsel appare in ogni singola riga e parola, testimone fedele della sua realtà, la realtà elvetica, cui lo lega un rapporto contrastato e sofferto."

Peter Bichsel - nato a Solothurn nel 1935 - ex insegnante, è sicuramente nel novero degli scrittori svizzeri di fama internazionale; si è affermato nel 1964 proprio con una raccolta di libri per bambini. E’ pubblicato in Italia dalla Marcos y Marcos. Nelle scuole di lingua tedesca i suoi testi equivalgono oramai a ciò che nelle nostre è il Marcovaldo di Calvino.

Qui la traduzione di PdZ del racconto Un tavolo è un tavolo.

Paola Del Zoppo svolge attualmente il dottorato in Letteratura comparata e traduzione del testo letterario all’università di Siena. (lf)

L’inventore

di Peter Bichsel

L’inventore è un mestiere che non si può imparare. Ecco perché è raro; oggi non esiste proprio più. Oggi le cose non vengono più inventate dagli inventori, bensì da ingegneri e tecnici, da meccanici, da operai, da architetti e da muratori; ma i più non inventano nulla.
Fino a un po’ di tempo fa, però, esistevano ancora degli inventori. Uno di loro si chiamava Edison; inventò la lampadina elettrica e il grammofono, che allora veniva chiamato fonografo; inventò il microfono e costruì il primo impianto elettrico del mondo, un apparato per le riprese e un apparato con cui si potevano proiettare i film. Nel 1931 morì.
Senza di lui saremmo rimasti senza lampadine. Ecco quanto sono importanti gli inventori. L’ultimo è morto nel 1931.

Nel 1890, però, ne nacque un altro, e costui è ancora vivo. Non lo conosce nessuno, perché adesso vive in quest’epoca in cui non ci sono più gli inventori.
Dal 1931 è solo.
Questo lui non lo sa, perché già allora non viveva più in città e non vedeva mai gente; gli inventori, infatti, hanno bisogno di quiete.
Viveva molto lontano dalla città, non lasciava mai la sua casa e non riceveva quasi mai visite.
Stava tutto il giorno a contare e a disegnare. Sedeva lì ore e ore, aggrottava la fronte, si passava ripetutamente la mano sul viso e rifletteva.
Poi prendeva i suoi conti, li strappava e gettava e ricominciava da capo, e alla sera era cupo e di malumore, perché la cosa non funzionava ancora.
Non trovò mai nessuno che capisse i suoi disegni, e non aveva senso per lui parlare con la gente. Da più di 40 anni seguiva quel suo lavoro, e se finalmente qualcuno andava a fargli visita nascondeva i progetti, perché aveva paura che copiassero, e perché aveva paura che qualcuno lo prendesse in giro.
Andava presto a letto, si alzava presto e lavorava tutto il giorno. Non riceveva posta, non leggeva giornali e non sapeva che esistevano le radio.

E dopo tutti quegli anni venne la sera in cui non fu più di malumore, perché aveva inventato la sua invenzione, e non si coricò neanche più. Giorno e notte sedeva ai suoi progetti per controllare se erano giusti. Poi li arrotolò tutti insieme e, dopo anni, andò per la prima volta in città. Era totalmente cambiata.
Dove prima c’erano i cavalli, adesso c’erano le automobili, e nell’emporio c’era una scala mobile, e i treni non viaggiavano più con il vapore. Il tram si muoveva sottoterra e si chiamava metropolitana, e da piccole scatole, che si potevano portare con sé, usciva della musica.
L’inventore si stupì molto. Ma, poiché era un inventore, capì tutto molto in fretta.
Vide un frigorifero e disse: "Aha".
E quando vide le luci verdi e rosse, capì che bisognava aspettare con la luce rossa e camminare con il verde.
E aspettò col rosso e camminò col verde.
Capì tutto, ma era molto stupito e quasi aveva dimenticato la sua stessa invenzione.
Quando gli ritornò in mente, andò verso un uomo, che in quel momento aspettava al rosso, e disse: "Mi perdoni, signore, ho inventato una cosa".
E il signore fu gentile e disse: "E quindi, cosa desidera farne?"
E l’inventore non lo sapeva.
"Vede, è un’invenzione importante", ma in quel momento scattò il verde e i due dovettero muoversi.
Quando però non si va in città da tanto tempo, non ci si orienta più, e quando si ha un’invenzione, non si sa più dove bisogni portarla.
Cosa avrebbero dovuto dire le persone, a cui l’inventore diceva: "Ho inventato una cosa"?
I più non dicevano nulla, alcuni deridevano l’inventore e alcuni proseguivano, come se non avessero sentito nulla.
Poiché l’inventore non aveva parlato con altri per lungo tempo, non sapeva più come si iniziasse una conversazione. Non sapeva che per prima cosa bisognava dire "Per favore, potrebbe dirmi che ore sono?", o che si dice "Brutto tempo oggi".
Non pensava che è impossibile dire semplicemente: "Ehi, lei, ho inventato una cosa!", e quando qualcuno sul tram gli diceva: "C’è il sole, oggi", lui non rispondeva: "Già, è una giornata meravigliosa", bensì diceva subito: "Sa, ho inventato una cosa".
Non poteva pensare più a nient’altro. Perché la sua invenzione era un’invenzione unica, grandiosa e importante. Se non fosse stato del tutto sicuro che i suoi progetti fossero esatti, lui stesso non ci avrebbe creduto.
Aveva scoperto un congegno in cui si poteva vedere quello che succedeva lontano.
E saltò sul tram, stese i suoi progetti tra le gambe delle persone, sul pavimento, e gridò:
"Qui, guardate, ho inventato un congegno in cui si può vedere quello che accade lontano."
Le persone fecero finta che non succedesse nulla, salivano e scendevano, e l’inventore gridava: "Su, guardate, ho inventato qualcosa. Con questa potete vedere quello che succede lontano da qui."
"Quello ha inventato la televisione", gridò uno, e tutti risero.
"Perché ridete?" chiese l’uomo, e scese, si mise a camminare per strada, si fermò al rosso e ricominciò a camminare al verde, si sedette in un ristorante e ordinò un caffè, e quando il suo vicino di tavolo gli disse: " Bel tempo, oggi" l’inventore rispose: "Mi aiuti, per favore, ho inventato la televisione e nessuno mi vuole credere. Tutti mi prendono in giro!"
E il suo vicino non disse più nulla.
Guardò a lungo l’inventore e l’inventore chiese: "Perché la gente ride?". "Ridono," disse l’uomo " perché la televisione esiste già da molto tempo, e perché non c’è più bisogno di inventarla" e indicò l’angolo del ristorante dove c’era un televisore e chiese: "La devo accendere?"
Ma l’inventore disse: "No, non lo voglio vedere". Si alzò e andò via.
I suoi progetti rimasero lì.
Camminò per la città, non fece più caso al rosso e al verde, e gli automobilisti imprecavano e, guardandolo, si battevano il dito sulla tempia.

Da allora in poi l’inventore non venne più in città.
Andò a casa e inventò solo per se stesso.
Prese un foglio di carta, ci scrisse "l’automobile", contò e disegnò per settimane e mesi e inventò di nuovo l’auto, poi la scala mobile, inventò il telefono, inventò il frigorifero.
Tutto quello che aveva visto in città, lo inventò da capo.
E ogni volta che inventava qualcosa distruggeva i disegni, li gettava, e diceva: "Questo c’è già"
Però rimase tutta la vita un vero inventore, perché anche le cose che ci sono già sono difficili da inventare, e lo possono fare solo gli inventori.

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